Malasanità, diagnosi di stitichezza ma era peritonite: 6 mesi al medico per omicidio

Città studi, l’errore è costato la vita a una paziente di 50 anni. Il medico dovrà risarcire i familiari con 150mila euro di MARIO CONSANI

L’istituto clinico  Città Studi  di via Jommelli prima  dello scandalo giudiziario si chiamava clinica  Santa Rita

L’istituto clinico Città Studi di via Jommelli prima dello scandalo giudiziario si chiamava clinica Santa Rita

Milano, 22 maggio 2016 - Errore clamoroso e gravissimo. Per il giudice, omicidio colposo. La donna che si era presentata al pronto soccorso con forti dolori addominali non aveva un semplice problema di stitichezza ma una perforazione gastrica. Però il dottore si limitò a prescriverle «alimentazione con fibre vegetali e idratazione adeguata» e a rimandarla a casa. Meno di 24 ore dopo, la paziente era morta. E ora il medico dell’Istituto clinico Città Studi, erede di quella «Santa Rita» finita alle cronache giudiziarie come la clinica degli orrori, è stato condannato a sei mesi di reclusione. È toccato al tribunale confermare, in primo grado, la fondatezza di un’accusa che ha svelato un episodio di malasanità quasi incredibile.

Una mattina di dicembre del 2011, Tiziana V., manager 50enne che lavorava per l’azienda di famiglia, si presentò al Pronto soccorso della clinica di via Jommelli lamentando forti dolori addominali. Il medico di turno le fece fare una radiografia, ma poi – come ha accertato il giudice – non ebbe la pazienza di aspettare il referto di radiologia. Forse per la fretta dovuta all’affollamento in sala d’attesa, o forse solo per superficialità imperdonabile, il dottore diede uno sguardo veloce alle lastre, non vide nulla e decise che quello poteva bastare. Salutò la paziente e la dimise con una diagnosi di “stipsi”, stitichezza. Tutto in meno di un’ora. La mattina dopo Tiziana, che viveva da sola, venne trovata priva di vita. Era morta, spiegò il medico legale, a causa di una perforazione gastrica degenerata in peritonite.

L’inchiesta della Procura contestò al camice bianco della “Città Studi” di aver omesso di attendere il referto dal quale, invece, emergeva la «possibile presenza di aria libera in sede sottodiaframmatica» e dunque il sospetto della perforazione gastrica. Quando il responso arrivò, con firma del radiologo che segnalava la necessità di una tac, era ormai tardi perché la paziente era stata già dimessa e non venne ricontattata. Al medico del Pronto soccorso, l’accusa ha attribuito la responsabilità di non aver valutato correttamente le lastre anche prima di aver ricevuto il referto: già osservando bene il negativo, il dottore avrebbe avuto elementi sufficienti per disporre la tac. Il tribunale, nel condannarlo a sei mesi di pena, ha riconosciuto ai familiari, assistiti dall’avvocato Andrea Del Corno, un risarcimento di 150 mila euro. mario.consani@ilgiorno.net

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