Giovedì 25 Aprile 2024

"Quel pacemaker aveva un difetto". Il pm punta l’indice contro i ministri

Il caso di Maria Spina, la donna di San Donato in coma dal 2010 di Mario Consani

Una recente manifestazione per ricordare Maria Spina, in coma dal 2010 per un pacemaker dal software difettosoBG//ROBOT IN SALA OPERATORIA//FOTO DE PASCALE

Una recente manifestazione per ricordare Maria Spina, in coma dal 2010 per un pacemaker dal software difettosoBG//ROBOT IN SALA OPERATORIA//FOTO DE PASCALE

Melegnano (Milano), 20 dicembre 2014 - Trenta giorni di arresti domicilari per i due importatori del pacemaker difettoso. E trasmissione degli atti in Procura, perché si proceda contro i ministri della Salute e Sviluppo economico dell’epoca, che non fecero togliere dal mercato gli strumenti a rischio. Sono le richieste che il vice procuratore onorario Alberto Dones avanza al termine della sua requisitoria. È il processo ai due manager della St. Jude Medical di Agrate, secondo l’accusa responsabili di lesioni colpose gravissime per il cattivo funzionamento di un defibrillatore di fabbricazione americana impiantato su Maria Spina, 46enne di San Donato che dal 2010 è in stato vegetativo permanente.

È emerso che poco tempo prima del dramma capitato a Maria, la stessa casa madre californiana aveva disposto il «richiamo» dei cardioverter dello stesso tipo e serie di quello dalla donna, perché senza un aggiornamento del software c’era il rischio di un cattivo funzionamento. È un documento della Food & drug Administration, quello prodotto in una delle ultime udienze dal pm Dones, datato 16 agosto 2010, che faceva riferimento alla segnalazione della St. Jude americana diffusa nel gennaio precedente. La difesa sostiene che l’azienda provvide con un proprio tecnico spedito nell’ospedale di Melegnano, all’aggiornamento del software impiantato sulla donna. La parte civile, sentito il medico che seguiva Maria, invece lo esclude, tanto più che nulla risulterebbe dalla cartella clinica della paziente.

«Almeno un serio allarme sarebbe dovuto scattare - ripete l’avvocato Nicola Brigida - visto anche che, come poi è emerso, risultavano 5 o 6 segnalazioni di disfunzionalità di quello strumento cardiaco, tanto che il ministero della Salute ne aveva temporaneamente sospeso l’utilizzo». Anche da qui, la richiesta alla Procura di aprire un fascicolo d’indagine sul comportamento dei ministri che non sarebbero intervenuti a «stoppare» la diffusione commerciale dello strumento: Livia Turco, Ferruccio Fazio, Renato Balduzzi (Salute), con Claudio Scajola, Paolo Romani, Corrado Passera e Silvio Berlusconi - ad interim nel 2010 - allo Sviluppo economico.

Nel frattempo Maria era passata di crisi in crisi fino a quella fatale, la notte del 19 ottobre 2010 mentre era a casa sua, a San Donato. Quella volta, stando all’accusa, quando Maria ebbe un arresto cardiocircolatorio, la macchinetta non entrò in funzione per colpa di un black-out elettrico. Un malfunzionamento finora sempre negato dai vertici della St. Jude Italia.

[email protected]