Omicidio di viale Sarca, una foto del guanto sporco di sangue. I giudici: prova che Procacci è il killer

Quel lembo è stato finora un enigma, l’immagine scioglie tutti i dubbi di Mario Consani

Omicidio Procacci, il ritrovamento del cadavere in viale Sarca (Newpress)

Omicidio Procacci, il ritrovamento del cadavere in viale Sarca (Newpress)

Milano, 21 agosto 2014 - C’è una fotografia. Un ingrandimento da sempre agli atti dell’inchiesta, che però guardato in modo diverso può risolvere il giallo. È un frammento di guanto, quello che si vede in primo piano nella foto. Un pezzetto di gomma sporco di sangue della vittima e del dna del suo presunto assassino. Tutti i processi celebrati contro Pasquale Procacci, accusato di aver ucciso cinque anni fa la sorella Maria Teresa, hanno ruotato intorno a quel minuscolo frammento di lattice.

È la prova che Procacci uccise infilandosi i guanti? O il suo dna c’è finito perché, come sostiene lui, li ha indossati spesso per far benzina all’auto della sorella? Ma il sangue di lei allora come c’è andato in quel frammento mescolandosi alla traccia biologica del fratello: per uno schizzo accidentale? Gocciolando lentamente dalla portiera? I giudici e i periti dei vari processi hanno offerto spiegazioni diverse, mai in chiave di certezza. Ora la Corte che ha celebrato il processo d’appello-bis nei confronti di Procacci, condannandolo di nuovo a 30 anni di carcere, ritiene di aver trovato la soluzione dell’enigma. Nelle motivazioni della sentenza, appena depositate, il presidente Sergio Silocchi scrive che osservando bene la foto agli atti con il numero 34, si vede che «il lembo cui entrambe le dita (del guanto, ndr) sono attaccate è formato da un frammento unico» ed è composto di «un solo strato di lattice», cioè è trasparente. È il famoso pezzetto sporco di sangue della vittima e dna del fratello, quello che è andato ad appoggiarsi sul tascone della portiera destra. Ebbene, sostengono i giudici, sotto quel pezzetto trasparente si vedono le macchie di sangue. Prima il sangue, dunque, e solo dopo - e sopra - il lembo di gomma. «Ciò prova in maniera inconfutabile - scrive Silocchi - che l’aggressione omicida avvenne necessariamente prima che il lembo raggiungesse la sua posizione di quiete». Solo così si spiega perché «una volta rimosso il frammento siano ben visibili le tracce di sangue», prima coperte da un dito del guanto pendente verso l’esterno della tasca.

Prima l’omicidio, dunque, poi la rottura del guanto. Quando l’assassino uccise Maria Teresa colpendola alla testa con un oggetto, dunque, i guanti non li indossava ancora. Li ha infilati poi, dopo essersi «mondato del sangue», perché non voleva lasciare tracce «dovendosi accingere a spogliare il cadavere» per confondere le idee a chi avrebbe dovuto indagare. L’assassino nemmeno si accorse, scrivono i giudici, che il guanto si era lacerato, probabilmente mentre sfilava dal dito della vittima un prezioso anello con diamante.

Ma se il killer ha ucciso senza guanti, come mai le punte di due dita di lattice erano sporche di sangue? «Perché non si era pulito bene le mani prima di indossarli», conclude la Corte, cosìcche le unghie hanno depositato le loro tracce biologiche su quella gomma. E’ questa «la vera e autentica prova» che inchioda Pasquale Procacci, conclude la Corte. Insieme agli indizi pesanti: le sue contraddizioni, l’alibi che non è tale, il movente economico legato al timore che la sorella dilapidasse l’enorme eredità che entrambi avevano ricevuto dal padre. mario.consani@ilgiorno.net

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