«Paura della moschea? Non è una minaccia per nessuno»

La moschea di Milano si farà. Palazzo Marino tira dritto, in attesa di svelare le quattro aree top secret destinate a ospitare i luoghi di culto. Il parere di David Piccardo, ai vertici del Caim di Enrico Fovanna

Musulmani in preghiera (Newpress)

Musulmani in preghiera (Newpress)

Milano, 2 settembre 2014 - La moschea di Milano si farà. Palazzo Marino tira dritto, in attesa di svelare le quattro aree top secret destinate a ospitare i luoghi di culto. Ma, sulla scorta delle paure legate all’escalation dei fondamentalismi, Forza Italia dice no e chiede un referendum. In attesa del bando che assegnerà i siti, il referente islamico per il Comune è David Piccardo, 32 anni, ai vertici del Caim, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano, composto da dieci tra le più grandi realtà musulmane milanesi. 

Piccardo, qualcuno si chiede perché di questi tempi i milanesi non dovrebbero avere paura che nell’Islam si infiltri il fondamentalismo. Cosa direbbe per convincerli che una moschea è necessaria? «L’onere della prova tocca ad altri. Noi continuamo a difenderci, ma in uno Stato di diritto la Costituzione prevede il diritto di culto. Non vogliamo regole eccezionali ad hoc. Penso a quando gli Ebrei nella storia erano marchiati da un’infamia che preludeva allo sterminio. No. Noi siamo cittadini come gli altri, abbiamo diritti e doveri che dobbiamo rispettare».

Ma cosa direbbe a chi continua ad aver paura? «A Milano vivono ormai oltre centomila musulmani, a fianco di cittadini di ogni religione, mandano i figli a scuola, lavorano e nella stragrande maggioranza dei casi si comportano da persone civili. I milanesi possono ben vedere se nuocciono o meno. C’è una presenza storica di almeno trent’anni e sfido chiunque a dimostrare che qui abbia avuto problemi legati al fondamentalismo. Soni i fatti che parlano».

Isis però ha rimescolato le carte. In Italia ci sono inchieste aperte su cellule di reclutatori. Qualcuno dice che l’Islam moderato non faccia sentire abbastanza la propria voce. «Anzitutto il fatto che ci siano reclutatori per Isis resta da verificare. Le inchieste sono aperte, sì, ma non concluse, per ora si tratta di voci. Anche perché le forze ipergarantiste in altri contesti, come Forza Italia, a Milano diventano forcaiole. Sulla falsariga, dovrei chiedere la chiusura delle loro sedi perché il loro leader è un condannato. Non scherziamo. L’equazione è impensabile. Noi siamo del tutto distanti da ogni forma di violenza su base religiosa. Quelle storie non ci appartengono. Viviamo in Italia e il nostro comportamento parla per noi».

Lei comprende le radici della paura di molti?  «Le capisco, ma capisco anche che questa paura è alimentata con altre finalità. Ma noi siamo trasparenti e non c’entriamo. In questo paese ci sono un milione settecentomila musulmani e le condanne per terrorismo si contano sulle dita di una mano. Abbiamo espresso una nettissima condanna nei confronti di Isis, insieme a tutti i sapienti islamici. Nel momento in cui un gruppo armato attacca una popolazione su base religiosa, come i cristiani, gli yazidi o i turcomanni, si pone fuori dall’Islam. Io non posso farlo, non essendo un’autorità religiosa. Ma chi poteva li ha scomunicati. Non lo dico per convenienza, la tolleranza religiosa è il nostro messaggio, un cardine. Gli ebrei hanno sempre trovato un rifugio presso i musulmani nella storia. Dai pogrom all’Olocausto, sono sempre stati accolti da noi».

Ritiene che casi come quello dell’imam di San Donà siano isolati? «Per onestà vorrei dire che quella vicenda è poco chiara. Ho verificato quel video, tradotto da un’organizzazione molto vicina ai servizi israeliani. L’imam non nomina mai la parola “ebrei”. Ma soprattutto in uno Stato di diritto una persona va processata prima di essere condannata. Vorrei però essere chiaro: da noi condanna netta per ogni forma di antisemitismo e di istigazione all’odio religioso. A Milano, peraltro, nulla del genere si è mai verificato».

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