Morta incinta con le sue gemelle: "Aveva una lacerazione vaginale"

Dall’autopsia una possibile svolta nelle indagini sugli ospedali di GIULIA BONEZZI e MARIO CONSANI

La clinica Mangiagalli

La clinica Mangiagalli

Milano, 6 maggio 2016 - Claudia Bordoni, morta a 36 anni alla Mangiagalli insieme alle gemelle che aspettava da 25 settimane, non è stata uccisa da un’emorragia gastrica, come s’ipotizzava all’inizio, o da qualcosa di totalmente estraneo alla sua gravidanza complicata. L’autopsia, eseguita ieri all’Istituto di medicina legale di piazzale Gorini, ha rivelato nella donna una lacerazione vaginale con emorragia peritoneale (il peritoneo è la membrana che avvolge la cavità addominale e in parte quella pelvica). È ovvio che la consulenza tecnica disposta dalla Procura dovrà ora approfondire le cause e le precise conseguenze di questa scoperta. Oltre ad individuare, per quanto sarà possibile, il momento in cui quella lacerazione si manifestò. Ma è anche evidente che tutto ciò potrebbe aprire nuovi scenari nell’indagine della Procura di Milano. Per ora sono quattro gli indagati: due dottoresse e due ostetriche della Mangiagalli, le ultime che hanno avuto in cura Claudia che però era reduce da un vero pellegrinaggio in diversi ospedali.

Tre nell’ultimo mese. Dal 3 al 7 aprile era stata ricoverata all’ospedale di Busto Arsizio: arrivata per piccole perdite di sangue, compatibili con un abbassamento della placenta secondo i medici che avevano concordato con la paziente le dimissioni protette. Voleva andare dalla sua ginecologa, al San Raffaele cui a fine 2014 lei, marketing manager in una società di gestione del risparmio, e il marito si erano rivolti per la procreazione medicalmente assistita. Claudia era rimasta incinta al terzo ciclo. In via Olgettina l’hanno ricoverata dal 13 al 20 aprile scorso. Lei ci è tornata poi il 25 aprile, quando è stata visitata e dimessa, hanno spiegato dal San Raffaele, «dopo aver accertato l’assenza di patologie generali e di natura ostetrica materno fetale». La sera successiva Claudia si è presentata al pronto soccorso ostetrico-ginecologico della Mangiagalli (dove risultano altri sei suoi accessi nei mesi precedenti per minacce d’aborto, l’ultimo il 7 marzo): tenuta in osservazione per una minaccia di parto prematuro, è morta verso le 14 del 28 aprile per arresto cardiaco, dopo aver rimesso più di un litro di sangue. I medici hanno tentato un cesareo nella stanza, ma le gemelle sono nate morte. I tre ospedali sono già stati visitati dagli ispettori del Ministero della Salute: lunedì il San Raffaele e la Mangiagalli, martedì Busto. Ieri alla Mangiagalli è arrivata la task force della Regione: un’ispezione di sette ore, gli esperti hanno incontrato «tutti gli specialisti che hanno avuto un ruolo in questo caso», fanno sapere dal Policlinico. «Piena collaborazione», e «piena fiducia» dall’ospedale, in loro e «che l’esito delle indagini possa chiarire la dinamica di questa tragedia, e stabilire ufficialmente se ci sono state responsabilità mediche o se si tratti di uno di quei casi, per fortuna rari ma pur sempre possibili, in cui anche i migliori specialisti sono impotenti di fronte a un evento inevitabile».

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