Ferretti, Chipperfield, Armani, D&G: quando i big disconoscono Milano

Gli scontri tra le grandi firme e una metropoli condannata ad eccellere di Giambattista Anastasio

Dante Ferretti

Dante Ferretti

Milano, 9 aprile 2015 - Dante Ferretti e David Chipperfield, Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Ancor prima, Giorgio Armani e Oliviero Toscani. Prendendo a prestito lo slogan di una nota marca di caffè, verrebbe da chiedersi: «What else?». Ovvero: «Che altro?». «Che serve di più?». La risposta, purtroppo per Milano, è: «Nulla, può bastare così». Una volta tradotto in milanese, quel che altrove potrebbe apparire come l’album di famiglia delle grandi firme contemporanee del cinema e della moda, dell’architettura e della fotografia, diventa invece l’album, manco tanto impolverato, di una crisi. Della crisi nella quale versa il rapporto tra la metropoli lombarda e le griffe. Dura essere la capitale italiana, quando non europea, della moda e della creatività. Condannata ad eccellere, Milano.

Gli stilisti Dolce e Gabbana (Newpress)

Ma dal 2008 ad oggi è come se la clessidra fosse stata rovesciata: ora la metà più piena non è quella degli «onori» e del lustro di tanta fama ma quella degli «oneri» e della difficoltà di tenervi fede. «Più facile fare un museo in Messico» ebbe a dire, qualche settimana fa, Chipperfield. Quello dell’archistar è però il penultimo caso di scontro tra un grande accusatore (di nome) e la città. L’ultimo è il caso Ferretti. Lo scenografo tre volte premio Oscar ha appena inviato al commissario Giuseppe Sala una lettera in cui diffida la società Expo dal realizzare solo in modo parziale l’allestimento da lui ideato per il sito espositivo e dall’associare la propria immagine a quella di un evento del quale era ambasciatore nel mondo. Tutta colpa dei ritardi nell’aggiudicazione dei lavori. «Ho un nome da difendere – ha scandito Ferretti – e non voglio sia affiancato ad un allestimento riduttivo e senza qualità».

Le stesse parole proferite il 19 marzo da Chipperfield in riferimento a qual Museo delle Culture che l’archistar britannica ha progettato. Ma ora, proprio come Ferretti, non vuole gli sia riconosciuta la paternità: «Museo degli orrori» e altra diffida legale, stavolta recapitata al sindaco Giuliano Pisapia. Tutta colpa, in questo caso, della pavimentazione del polo espositivo: la pietra posata non è quella indicata in origine dall’architetto ed è stata posata pure male. Casi fotocopia, per un’immagine, quella di Milano e dell’Expo, da ritrattare con photoshop. E d’imprivviso è parso davvero vicino quel 18 luglio 2013, quando gli stilisti Dolce e Gabbana scrissero letterale su Twitter: «Comune di Milano fai schifo».

Oliviero Toscani

Per poi chiudere le loro boutique milanesi per tre giorni al motto: «Chiuso per indignazione». Ce l’avevano con la personalissima opinione dell’assessore Franco D’Alfonso a proposito del trattamento da riservare agli evasori fiscali, accusa dalla quale D&G furono poi assolti. Di moda in moda, Giorgio Armani, solo un mese prima, aveva polemicamente detto di preferire Roma a Milano perché «decisamente più pulita». Un habituè dell’affondo, Armani. Al Comune le aveva cantate già a giugno 2008, allora il sindaco era Letizia Moratti: «Il centro città sembra un suk, che degrado». Più duro il fotografo e pubblicitario Oliviero Toscani: «Milano è una città provinciale, fa schifo». Correva l’anno 2003. Impressione non più di moda?

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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