L'intervista a Mario Botta: nuovi luoghi di culto per battere la paura

Mario Botta, progettista di numerosi edifici di culto cristiani, ebraici, islamici, riflette sul ruolo che l’architettura contemporanea può e deve svolgere in tutte le le grandi città contemporanee

Mario Botta

Mario Botta

Milano, 29 luglio 2016 - «Un tema importante in un momento drammatico». Il pensiero va ai fatti accaduti in Normandia, all’irruzione di due terroristi dell’Isis in una piccola chiesa di campagna. «I luoghi di culto nella storia dell’umanità hanno sempre rappresentato un momento di pace e serenità, aldilà delle guerre di religione. Nella polis sono state un momento di riconoscimento reciproco delle differenze e di convivialità».

Mario Botta, progettista di numerosi edifici di culto cristiani, ebraici, islamici, riflette sul ruolo che l’architettura contemporanea può e deve svolgere in tutte le le grandi città contemporanee. La religione è un elemento che marca differenze e identità nelle metropoli - e non solo in grandi agglomerati urbani - multietniche. «Sosterrò che il problema dell’architettura porta con sé il problema del sacro», aggiunge Botta che ha curato la ristrutturazione del Teatro alla Scala. «Trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura quindi portando lo spirito dell’uomo». E di questo si discute stamattina in Triennale, insieme a Italo Rota, progettista della Grande Moschea a Milano e tra gli altri, Makram El Kadi che firma il progetto in Libano.

Architetto Botta, e oggi?

«Tutto in un colpo scopriamo che i luoghi di culto predisposti alla meditazione, alla preghiera, sono baluardi di violenza, con segnali che portano a chiusura. Assistiamo a un rovesciamento del significato più profondo dei luoghi di culto. Invece che innalzarsi come segni di tolleranza, di pace e di convivenza civile, aldilà degli aspetti ideologici, cosa che è stata così per tutta la storia della cultura cristiana occidentale, diventano un terreno di scontro».

Lei ha progettato la Sinagoga di Tel Aviv e sta curando una moschea anche in Cina, a sud della Mongolia.

«Dobbiamo, come architetti, continuare a costruire luoghi di culto senza avere paura. Sono dei simboli molto forti, chiese, moschee, e arricchiscono il tessuto urbano. Strutture di convivenza collettive, dobbiamo farle bene anche se lontane dalla nostra sensibilità. Ho costruito sinagoghe senza essere ebreo, moschee senza essere islamico».

La paura porta alla chiusura...

«Non è la strada giusta da percorrere. Dobbiamo consentire a tutti di poter esprimere la propria religiosità. Siamo immersi in una cultura globale che ci piaccia o no è il tessuto nel quale siamo chiamati a vivere. E l’integrazione va cercata e ricercata ogni giorno, non è solo dell’altro, è soprattutto di noi stessi».

La scommessa per l’architettura nel futuro?

«Luoghi di culto e periferie, devono divenire le nostre ossessioni. Le periferie brutte, dimenticate, le banlieau, sono le nostre colpe. La rinascita delle città europee passa attraverso anche l’abbattimento delle cose malfatte. Non bisogna temere di buttarle giù e ricostruire, ricucire, rammendare il tessuto urbano».

Anche a Milano?

«Milano è una forma molto avanza di aggregazione umana, è una città profondamente mitteleuropea, che ha una forza creativa dovuta alla fusione di due culture, la cultura nordica e quella mediterranea. Milano è una delle città italiane più vicine a Vienna, Oslo dove la cultura locale viene declinata con la modernità e le forme espressive e tecnologiche che l’uomo si è guadagnato».

Sulla moschea però si frena ancora...

«Vengo da Sofia, in Bulgaria, che non è all’altezza di Milano, dove convivono nella stessa piazza una sinagoga, una chiesa cristiana e un moschea. Non vedo perchè non lo possa avere Milano. Un luogo di culto è importante anche per chi non ci va. Me ne sono accorto quando ho ristrutturato la Scala. Alcuni milanesi erano preoccupati per la «loro Scala» pur non frequentandola. È il luogo dell’immaginario collettivo, è un importante luogo di memoria. Un simbolo. Voglio dire che anche questi nuovi luoghi di culto arricchiscono il territorio perchè vuol dire che c’è una comunità, musulmana, islamica, che ha trovato spazio nelle nostre città. Guai a lavorare all’esclusione di questi elementi. Anche l’Islam è ricco di una storia che indirettamente ci appartiene».

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