Malpensa a prova di contagio ma qui l’emergenza Ebola non esiste

Allo scalo non arrivano voli di linea dai Paesi a rischio come Guinea e Nigeria di Corrado Cattaneo

La zona arrivi dell'aeroporto di Malpensa

La zona arrivi dell'aeroporto di Malpensa

Malpensa, 16 ottobre 2014 - Il viaggio nell’allarme Ebola a Malpensa è un viaggio in un’emergenza che non esiste. Non solo che non si vede ma che, semplicemente, non c’è. E non perché nessuno se ne occupi ma, al contrario, perché occuparsene, quasi, non serve: è inutile. Da un lato perché allo scalo della brughiera - il secondo più grande d'Italia e uno dei quattro aeroporti italiani classificati come sanitari insieme a Linate, Fiumicino e Ciampino – non arrivano voli di linea dai Paesi a rischio come Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria; dall’altro perché Ebola non è l’aviaria, l’influenza suina o la Sars: semplicemente non si diffonde per via aerea.

La febbre emorragica che provoca è molto spesso letale ma per non contrarre il virus basta stare a un metro di distanza da un passeggero malato. «Un solo metro è sufficiente a evitare qualsiasi eventuale contatto, compreso quello provocato da uno starnuto», spiega Alberto Germani, dirigente dell’Usmaf di Malpensa, l’ufficio di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera del ministero della Salute. L’unità di crisi, cioè, in prima linea per bloccare ogni tipo di epidemia e che conta su cinque medici a Malpensa, due a Linate e uno a Orio al Serio. Cento centimetri, tutto qua, lontano anche dalle “droplet”, le goccioline di saliva che possono essere emesse dal paziente: fosse Tbc sarebbe tutto più complicato. Inoltre il virus lavora così abilmente che in un attimo le condizioni del paziente peggiorano: difficile, quindi, che in quello stato si decida di prendere un aereo.

«L’Organizzazione mondiale della sanità ha scritto nero su bianco che nel caso dell’Ebola gli screening di massa non sono di nessuna utilità», spiega Germani. E quindi, malgrado l'attenzione resti al massimo, è molto improbabile che un paziente infetto con sintomi già evidenti – l’unico modo per far scattare l’allarme in aeroporto - viaggi su un volo diretto a Malpensa, e controllare tutti i passeggeri in transito serve a poco. Dovesse accadere, comunque, è pronta a mettersi in moto una macchina ben oliata che conta su di canale sanitario che è già stato in grado di bloccare l'A H1N1 contando su una struttura di circa 1.500 metri quadrati, con due sale d’aspetto da 180 e 210 posti a sedere, spogliatoi, tre ambulatori e tre camere d’isolamento con cinque posti letto, porte collegate a un sistema di allarme apribili una alla volta digitando sempre un codice di sicurezza.

Tutti ambienti in pressione negativa: dove l’aria, cioè, viene costantemente risucchiata. Una macchina da guerra perfetta, insomma, che nell’emergenza Ebola rischia però di non sparare nemmeno un colpo. La prova generale la si è avuta il 12 settembre, quando il pilota di un volo in arrivo da Lisbona ha lanciato un potenziale allarme viste le condizioni di un passeggero a bordo. Arrivato a terra la macchina si è messa al lavoro, ma solo per scoprire che si trattava di un mal di pancia manifestatosi poco prima dell’atterraggio. Il volo era però in ritardo di un’ora: fosse atterrato in orario non ci sarebbe stato nemmeno il falso allarme e se ne sarebbe occupato il 118. Così l’emergenza, in realtà, allo scalo non c’è, salvo qualche cartello che la ricorda. Le uniche criticità sono i voli cargo da Lagos, in Nigeria, di due compagnie – ma gli equipaggi sono tenuti sotto sorveglianza sanitaria e il vettore viene ispezionato – e alcuni voli privati, questa volta su Linate, scalo che da un punto di vista sanitario dipende dall’Usmaf di Malpensa. I voli hanno trasportato una trentina di persone rimpatriate dai Paesi infetti. Secondo gli esperti, quindi, è la strada, e non un aereo, che Ebola probabilmente sceglierà come palcoscenico se vorrà debuttare in Italia.

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