Leoncavallo addio: la casa dei ribelli diventa legale

Il Comune regolarizza il vecchio centro sociale di Giambattista Anastasio e Mario Consani

8) Centro Sociale Leoncavallo

8) Centro Sociale Leoncavallo

di Giambattista Anastasio e Mario Consani

Milano, 25 luglio 2014 - Trasgressione addio. Dopo quasi quarant’anni il vecchio «Leonka», il centro sociale milanese tra i più celebri in Italia, scende dalle barricate e s’infila le pantofole. Dopo quasi mezzo secolo di occupazioni abusive delle varie sedi, da quella storica di via Leoncavallo (da cui il nome) all’attuale di via Wattheu, dal mese prossimo i giovani e meno giovani frequentatori saranno a tutti gli effetti in regola con la legge. Addio sfratti, barricate, salite sui tetti, molotov e scontri con la polizia (che per la verità erano già un ricordo lontano) e via libera all’accordo con Palazzo Marino che prevede l’affitto al Leonka dell’attuale sede dopo che il Comune l’avrà a sua volta acquistata dal proprietario, il gruppo Cabassi. Al quale, in cambio, andranno il complesso delle ex scuole Mazzini in disuso da vent’anni e sei alloggi di via Trivulzio di proprietà comunale.  E così il centro sociale più noto in città (anche se da tempo si chiama “spazio pubblico autogestito”), a quasi 40 anni entra nell’età matura. Gli esordi resteranno però nella storia sociale della metropoli, con la prima occupazione nell’ottobre ’75 di un piccolo stabile (ma con adiacente enorme capannone) di via Mancinelli, periferia nord-est della città, ad opera di alcuni «Comitati di caseggiato» di Casoretto e Lambrate, dei collettivi anti-fascisti di zona, di Avanguardia Operaia e di qualche esponente di Lotta Continua e Mls, il Movimento lavoratori per il socialismo che comandava anche all’Università Statale. Altri tempi. Tre anni dopo sarebbero stati tragici, con la morte di due ragazzi del Leonka, Fausto Tinelli e Lorenzo (Iaio) Iannucci, uccisi per strada a pistolettate da assassini (probabilmente dell’ultradestra romana) rimasti senza nome. Al «Leonka» si faceva di tutto: concerti, radio libera, laboratori artistici ed artigianali, stamperia per la controinformazione, teatro, casa delle donne e scuola popolare. Tutto abusivo, naturalmente. Così cominciò la lunga battaglia degli sfratti e dei rinvii, delle lusinghe e delle manifestazioni violente durate tre lustri almeno. Alla fine, lo sgombero nel ’94, la breve parentesi di via Salomone e poi l’approdo finale in via Wattheau. Altro clima, comunque. Polemiche a non finire per la nuova occupazione, ovvio, ma anche un approccio più morbido delle varie giunte pur di diverso colore. Parole dolci persino dal sindaco Gabriele Albertini, mentre Vittorio Sgarbi (breve assessore) voleva tutelarne i graffiti e prima ancora il leghista Bobo Maroni, attuale presidente lombardo, pensava di andarci a suonare la tastiera (offerta respinta).

giambattista.anastasio@ilgiorno.net mario.consani@ilgiorno.net

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