L'intervista a Sala: "Angela Merkel stregata dall’Expo Che successo coi grandi del mondo"

Giuseppe Sala: "Milano ha vinto la sfida, arriveremo a 20 milioni di visitatori" di Giancarlo Mazzuca e Sandro Neri

Da sinistra: Giuseppe Sala, commissario unico dell’Expo, con Giancarlo Mazzuca, direttore del «Giorno» e il caporedattore Sandro Neri

Da sinistra: Giuseppe Sala, commissario unico dell’Expo, con Giancarlo Mazzuca, direttore del «Giorno» e il caporedattore Sandro Neri

Milano, 4 settembre 2015 - Il record di presenze nel mese di agosto ha segnato il giro di boa. Ma il successo dell’Expo, assicura Giuseppe Sala, commissario unico e deus ex machina del sito espositivo, va cercato oltre i numeri e i 12 milioni di visitatori registrati fino ad oggi. «L’Expo di Milano - osserva - ha dimostrato come si può fare attrattività, rilanciando l’immagine di un’intera metropoli nel mondo. È un modello di organizzazione e promozione. Un valore da spendere anche in futuro». Sala, il manager che il premier Matteo Renzi vorrebbe sindaco di Milano (se ne riparlerà a dicembre), rifugge le lusinghe della politica immergendosi nel lavoro. L’accoglienza delle delegazioni internazionali, il giro fra i padiglioni, gli impegni nel suo ufficio, tra le carte sulla scrivania e la statuetta della Madonnina di Milano, in cima allo scaffale alle spalle della poltrona. Vacanze estive? Neanche a parlarne. «Ho staccato cinque giorni in tutto. Passo nel sito dalle 13 alle 14 ore al giorno. Magari di anche di più, se consideriamo le partite di calcetto che gioco la sera tardi, nell’ambito del World Expo Cup». Però, dopo i mesi di tensione, l’aria che si respira è più rilassata. L’espressione del viso anche. «Non uso mai toni trionfalistici, ma Expo procede bene».

La svolta si è avuta in agosto, il mese che si temeva registrasse una minore affluenza. Sembra un paradosso, come lo spiega? «I primi mesi abbiamo pagato lo scotto di un calo di immagine legato alle vicende e alle inchieste giudiziarie precedenti all’avvio dell’Expo. Poi, però, è partito il passaparola. E quando migliaia di persone parlano bene di ciò che hanno visto, si genera un volano molto positivo. Questo è un evento popolare, con toni di raffinatezza. I visitatori restano colpiti».

INCONTRO Da sinistra: Giuseppe Sala, commissario unico dell’Expo, con Giancarlo Mazzuca, direttore del «Giorno» e il caporedattore Sandro Neri. Sotto: il Padiglione Zero, all’ingresso del sito

Il commento che l’ha gratificata di più? «Mi ha fatto piacere scoprire come, alla fine, qualcosa dei contenuti resti in tasca a tutti. Significa che il percorso educativo che è l’anima del sito funziona. Dalle parole dei visitatori, poi, traspare la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza divertente all’interno di una cornice sicura, accogliente, dove tutto funziona. E questo è importante. La gente ambisce a trovare luoghi come questo. Che sono un modello di efficienza e funzionalità. Dicevo prima quanto conti il giudizio popolare. Ecco, anche questo elemento ha fatto la sua parte nel cambio di marcia di quest’ultimo mese».

L’onda positiva sta continuando? «In questi giorni c’è forse un piccolo calo, ma le prospettive sono incoraggianti. Presto riprenderanno le visite delle scuole, poi arriveranno i visitatori delle fiere ospitate qui a fianco, nel polo espositivo di Rho-Pero. Certo, la differenza la faranno le condizioni metereologiche. A luglio, per esempio, siamo stati penalizzati dal troppo caldo. Credo, però, che settembre potrà dare grandi risultati».

Mancano meno di due mesi alla chiusura. Riuscirete a raggiungere i venti milioni di visitatori? «Considerato che ad agosto i biglietti venduti erano 13,8 milioni, penso che ce la possiamo fare. Senza contare i tanti che, finita la visita, dicono “ci devo tornare”. Non solo perché in una sola giornata è impossibile vedere tutto, ma perché Expo è un’esperienza positiva, che merita di essere ripetuta».

Una volta chiusi i battenti che contributo potrà dare l’Expo a Milano? «Tutto si gioca sul futuro dell’area, cioè sulla destinazione che verrà scelta. Decisione che non spetta a me, ma ai principali azionisti di Arexpo, che sono poi il governatore Roberto Maroni e il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia».

Il suo suggerimento? «L’area dove sorge il sito espositivo è attrezzatissima dal punto di vista tecnologico e superinfrastrutturata. Ma il suo vero valore sta nella logistica. Si può arrivare qui da Parigi senza mai cambiare treno; lo stesso dalla Svizzera. Poi ci sono le strade e la metropolitana. Oggi, per chi vive nel centro di Milano, arrivare qui non è più un problema. L’area è stata sdoganata e questo è il valore da sostenere».

Dei padiglioni e dei vari allestimenti cosa terrebbe in piedi? «Il Padiglione Zero sicuramente. Ma bisogna conservare senza esagerare. L’area, da novembre, tornerà a ospitare un cantiere. Quindi ruspe, gru, camion. Sulla sicurezza è stato effettuato un lavoro esemplare. E infatti non abbiamo avuto infortuni gravi. Bisogna mantenere gli stessi standard di sicurezza anche quando partiranno i lavori di dismissione».

Il suo ricordo più bello di questi mesi? «Qui abbiamo ospitato tutti i grandi del mondo. E tutti sono usciti facendo i complimenti a noi e all’Italia. La moglie del premier israeliano Netaniahu ha voluto assistere allo spettacolo dell’Albero della Vita due volte; Angela Merkel si è rivelata la più felice di tutti. Cercava continuamente il contatto con la gente...».

Il momento più brutto? «I mesi prima dell’inaugurazione. Nessuno credeva che ce l’avremmo fatta».

Invece adesso è un successo. Anzi, come diceva lei prima, un modello da imitare. «L’Expo ha alzato le aspettative dei milanesi. E dimostrato che si può essere attrattivi. L’articolo del New York Times che, in gennaio, lanciava Milano come la meta turistica mondiale numero uno del 2015 è stato un passaggio fondamentale. Questa può essere la città più attrattiva, anche se non la più bella. Moda, design, food fanno di Milano una metropoli di tendenza, davanti agli occhi del mondo».

Alcuni operatori economici si lamentano. «Gli alberghi, però, lavorano. Il business del commercio è cresciuto. La gente cerca luoghi di aggregazione. Le novità piacciono. E questo spiega, per esempio, il successo della nuova Darsena, in città».

di Giancarlo Mazzuca e Sandro Neri

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