Gillo Dorfles spiega Milano: "Mi ha insegnato cos'è la positività"

Il critico d'arte ha compiuto 104 anni e la cosa più importante della sua vita è cercare di costruire rapporti con le persone. Ama piazzale Lavater, dove vive da oltre 20 anni e sono presenti alcuni palazzi art-deco molto interessanti di Massimiliano Chiavarone

Il critico d'arte Gillo Dorfles

Il critico d'arte Gillo Dorfles

Milano, 26 ottobre 2014 - “Milano mi ha insegnato cos’è la positività”. Lo racconta il critico d’arte Gillo Dorfles. “Merito dei lombardi, gente aperta ma che privilegia rapporti seri e costruttivi”.

Lei in realtà, mescola origini triestine e genovesi che poi hanno trovato il loro approdo definitivo a Milano. Che ne dice di fornirci il bandolo della matassa? "Mio padre era di Gorizia, quando apparteneva ancora all’Impero austro-ungarico. Io sono nato a Trieste, ma con mio fratello abbiamo trascorso l’infanzia a Genova dove mia madre aveva deciso di trasferirsi, tornando nella sua città d’origine".

E Milano quando comincia a entrare nella sua vita? "Sempre da piccolo. Venivamo a trovare la mia bisnonna da parte di madre che possedeva un palazzo in Corso Venezia".

Poi, però, ha deciso di stabilirsi in questa città? "Sì, a partire dagli inizi anni ’30 quando mi sposai, con Chiara, che tutti chiamavamo Lalla. Era figlia del direttore del Conservatorio Giuseppe Gallignani. Infatti la cerimonia fu celebrata nella chiesa vicina, S. Maria della Passione".

Primi ricordi milanesi? "Quelli più belli, quando Milano era proprio una città d’acqua, col Naviglio che attraversava via Senato e altre vie centrali. Ricordo anche il laghetto di San Marco che ho navigato facendo qualche gita in barca. Milano era una borgata, contornata da un reticolo di fattorie periferiche, prime tra tutte quelle concentrate all’Idroscalo. E in fondo ha mantenuto questo carattere di grande borgo che fatica a diventare metropoli a causa dell’assenza di un piano regolatore. Questa città è un insieme di edifici importanti accostati alla rinfusa, almeno prima il Naviglio faceva da trait-d’union tra le sue grandi aree".

Intanto dopo la laurea in Medicina, si immergeva anche nella vita culturale di Milano? "Avevo studiato Medicina a Roma, per fare qualcosa di serio. Poi mi ero specializzato in Neurologia. Ma non ho mai esercitato la professione medica. In realtà sapevo dall’inizio che mi sarei occupato d’arte. La vita culturale di Milano è sempre stata interessante. Sotto questo profilo è la città più attiva d’Italia. Ricordo quando frequentavo la libreria di Vando Aldrovandi, il cognato dell’editore Giulio Einaudi, nella galleria di via Manzoni. Era il punto di ritrovo di tutti gli intellettuali d’Italia. Ci ho conosciuto Sciascia, Tobino, anche Moravia che era un po’ presuntuoso, mentre Vittorini era molto affabile. Al Biffi Scala, invece, avevo conosciuto Luigi Pirandello. Ero spesso in via Bigli a casa di Eugenio Montale con cui trascorrevo pomeriggi di chiacchierate interminabili. La mia carriera giornalistica prese il volo dopo aver incontrato Dino Buzzati che mi fece scrivere i primi articoli".

La via di Milano che preferisce? "Piazzale Lavater, in cui vivo da oltre 20 anni. Sono presenti alcuni palazzi art-deco molto interessanti. Poi mi piace il disegno della piazza e anche il suo collegamento con il centro. Poco più avanti ci sono edifici liberty di valore".

A proposito, lei è considerato il padre del “kitsch”. Milano è una città kitsch? "Ha elementi di cattivo gusto perché non ha saputo valorizzare i suoi quartieri liberty, che ne costituiscono la sua specificità. Ma ci sono anche esempi di grande bruttezza, come piazzale Loreto che è stata ricostruita male, ricorda le infelici periferie italiane come quelle di Roma, Napoli e Palermo".

Qui, però, hanno operato molti architetti. Che ne pensa? "Se parliamo di Caccia Dominioni, lo studio BBPR, Vittoriano Viganò, Ponti hanno fatto solo grandi case. Anche Gae Aulenti non mi ha convinto: avrebbe dovuto ridisegnare del tutto la stazione Nord di Piazzale Cadorna. Solo Franco Albini si è distinto per una serie di abitazioni di edilizia popolare. Ma in realtà nessuno ha saputo trasformare le periferie di questa città e fare opere al di fuori della cinta delle ex mura spagnole, progettando per esempio grandi arterie sotterranee. Milano dovrebbe svilupparsi verso l’esterno, perché è una grande pianura, ideale per i grattacieli. E’ sbagliato concentrarsi sul centro. Penso a un’espansione della città verso est e verso ovest. Un tentativo di city milanese è la nuova area Garibaldi, Isola, ex-Varesine che mi piace moltissimo".

Ha compiuto 104 anni. Qual è la cosa importante che ha capito dalla vita? "Cercare di costruire rapporti con le persone. Creare contatti e mantenerli". 

Il suo sogno milanese? "La riapertura dei Navigli, che sono le arterie di Milano, in modo che si possa raggiungere Rho e la sede dell’Expo via acqua".

di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it

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