IL LIBRO DEL GIORNO DI GENNARO MALGIERI Nei racconti dei sopravvissuti risuona ancora il grido di Hiroshima

Chi avesse rimosso l’apocalisse che si abbatté sul Giappone settant’anni fa, ha modo di ritornare a quel fatale 6 agosto 1945 profittando della ripubblicazione di un libro diventato un classico: “Hiroshima” del grande giornalista americano John Hersey di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Milano, 28 agosto 2015 - Chi avesse rimosso l’apocalisse che si abbatté sul Giappone settant’anni fa, ha modo di ritornare a quel fatale 6 agosto 1945 profittando della ripubblicazione di un libro diventato un classico: “Hiroshima” del grande giornalista americano John Hersey. La più lucida, penetrante e commovente inchiesta sull’eccidio che il reporter effettuò in due momenti: nel 1946 pubblicando sul “New Yorker” le storie di sei sopravvissuti e nel 1985 quando tornò in Giappone per verificare le condizioni degli stessi. Hersey incontrò e raccontò le vicissitudini della signorina Toshiko Sasaki impiegata in una fonderia, del medico Masakazu Fujii, della sarta Hatsuyo Nakamura, del gesuita Wilhelm Kleinsorge, del giovane chirurgo Terufumi Sasaki, del pastore metodista Kiyoshi Tanimoto. Esse esemplificano squarci di umanità che riassumono, ancora oggi, la fuga dalla morte e la resurrezione di una nazione. 

Per quanto minute siano, le vicende dei protagonisti di “Hiroshima” costituiscono le prove di come esseri colpiti da una dannazione inimmaginabile possano rialzarsi e vivere accanto alle assenze che ne hanno segnato drammaticamente le vite. Le pagine di Hersey scossero gli americani quando le lessero, per tanti motivi. Il più significativo, tuttavia, è l’impressionante descrizione di esistenze mutilate e poi ricomposte nel dolore che dà il senso di un orgoglioso sentire ad una nazione. Tra i ricordi più vividi e coinvolgenti c’è quello del reverendo Tanimoto che, anni dopo il bombardamento, scrisse a un amico americano raccontando la rocambolesca salvezza di un vecchio professore di letteratura. Questi, rimasto seppellito sotto la sua casa insieme con il figlio e consapevoli entrambi di essere spacciati, decisero come affrontare la fine. 

Ecco un brandello dello struggente dialogo: «Padre, non ci resta altro da fare che sacrificare le nostre vite per la patria. Auguriamo Banzai al nostro Imperatore». Il padre si unì a lui: «Tenno-heika, Banzai, Banzai, Banzai» (che significa “Lunga vita all’ Imperatore”). A quel punto il vecchio professore confessò che «un sentimento di lucidità e di calma invase il mio cuore quando augurai Banzai al Tenno». Poi il figlio riuscì a liberarsi e a tirar fuori il genitore che anni dopo ripeteva: «Che fortuna che siamo giapponesi! Mai ho provato un sentimento così meraviglioso come quando ho deciso di morire per il nostro Imperatore». Sempre secondo la testimonianza del pastore metodista, un gruppo di studentesse liceali venne avvolto dal fumo mentre riposavano a ridosso della palizzata che crollò su di esse nei pressi di un tempio buddista. Impossibilitate a muoversi, una di loro intonò, per farsi e fare coraggio, l’inno nazionale. Nel frattempo un’altra trovò un varco e riuscì a scappare e raccontò com’erano morte le sue amiche, convinte che fosse per il bene dell’Imperatore. JOHN HERSEY, Hiroshima, Skira

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro