Giornata mondiale contro l'Aids, un abbraccio per vincere la paura

Arché Onlus prende parola in un video con il fondatore e presidente di Arché, Padre Giuseppe Bettoni, il Primario di Pediatria degli Ospedali Buzzi e Sacco di Milano, Vincenzo Zuccotti e la giurista ed ex Presidente del Tribunale dei minori di Milano Livia Pomodoro

Simbolo Aids/ Hiv (Ansa)

Simbolo Aids/ Hiv (Ansa)

Milano, 30 novembre 2015 - Dopo la vicenda della bambina Francesca, rifiutata da una scuola campana perché disabile e malata di Hiv, in occasione di domani 1° dicembre, Giornata mondiale contro l’Aids, Arché Onlus prende parola in un video con il fondatore e presidente di Arché, Padre Giuseppe Bettoni,  il Primario di Pediatria degli Ospedali Buzzi e Sacco di Milano, Vincenzo Zuccotti e la giurista ed ex Presidente del Tribunale dei minori di Milano Livia Pomodoro.  Arché è nata infatti proprio nel 1991 per rispondere all’emergenza dell’Hiv pediatrico: in quegli anni fu la prima organizzazione a prendersi cura di tantissimi bambini sieropositivi, promosse convegni per sensibilizzare ed informare sul tema ma soprattutto seguì decine di famiglie a domicilio, entrò nelle scuole, negli oratori, negli ospedali.

"Quando ho letto della vicenda di Francesca, 11 anni, sieropositiva, rifiutata dalla scuola perché malata di Aids – ha detto Padre Giuseppe Bettoni - ho sentito lo sconforto più profondo perché mi è sembrato di aver fatto un salto indietro di almeno vent’anni. Erano gli anni novanta, fummo i primi, con Arché, ad impegnarci in un campo di cui pochi sapevano qualcosa, l’emergenza dell’Hiv pediatrico. C’è ancora tanto da fare". Negli anni ’90 Arché diffuse un manifesto: rappresentava un bambino malato di Aids che diceva: ‘Abbracciami forte’. L’abbraccio è accoglienza, condivisione, significa non  avere paura. "A quei tempi si sapevano poche cose – dice il Prof. Zuccotti - oggi invece siamo in un’epoca completamente diversa: le terapie hanno reso cronica quest’infezione, questi bambini vivono senza più avere un virus che replica nel proprio sangue quindi potenzialmente non hanno nessun rischio di contagiosità, possono fare una vita come gli altri. L’unica condizione è che continuino la loro terapia. Quindi è un grande dispiacere per me vedere che, dopo tanti anni, dopo tanta formazione, incontri, riunioni, le cose sono ancora così". 

"Un rifiuto di questo genere non ha ragion d’essere perché esistono delle prescrizioni specifiche nelle scuole per le situazioni di bambini che hanno un disagio cronico o temporaneo – ha invece spiegato Livia Pomodoro - Ritengo che si sia trattato della solita discriminazione, come quella che capita a volte nelle scuole dove ci sono bambini di colore o i bambini rom. Qualcuno potrà pensare che non si può dire la stessa cosa per un bambino con l’Aids conclamato: certo che non si può dire, perché è meno grave. Oggi un bambino che presenta una malattia conclamata di questo genere è un bambino che può essere curato, che ha delle prescrizioni da rispettare, certamente rigorose ma neanche tanto complicate, perché per fortuna la medicina ha fatto tanti passi avanti. Il genitore che tutela ai fini della salute il proprio bambino fa un’opera che è giusta e doverosa rispetto alla propria potestà ma questo non significa che va fatto a detrimento dello stare in comunità anche di altri bambini quando questo non comporta alcun danno per la salute".

 

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