Giovedì 18 Aprile 2024

Firme false alle Regionali, Podestà condannato a 2 anni e 9 mesi

L'accusa aveva chiesto 5 anni e 8 mesi. Condannati per falso ideologico anche quattro ex consiglieri provinciali che avevano autenticato le firme

Guido Podestà

Guido Podestà

Milano, 28 novembre 2014 - Il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà, è stato condannato a 2 anni e 9 mesi dal tribunale di Milano nel processo per le oltre 900 firme ritenute false a sostegno del listino di Roberto Formigoni e della lista del Pdl, nelle regionali lombarde del 2010La decisione è arrivata da parte del giudice monocratico Monica Amicone, che ha inflitto una pena più bassa rispetto ai 5 anni e 8 mesi che aveva chiesto lo scorso 17 ottobre il procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Amicone ha inoltre condannato gli ex consiglieri provinciali Massimo Turci (vicepresidente della commissione Cultura ed eventi) e Barbara Calzavara (presidente della commissione Affari istituazionali) a 2 anni e 6 mesi di carcere; Nicolò Mardegan (vicepresidente della commissione Lavoro) a un anno e un mese; e Marco Martino (presidente della commissione Politiche sociali) a 9 mesi con la condizionale e la non menzione. 

Il giudice ha ritenuto tutti gli imputati colpevoli in concorso del reato di falso ideologico pluriaggravato in relazione alle presunte firme false presentate a sosteno delle liste del Pdl in occasione delle elezioni del 2010 in base a quanto previsto dal Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali (dpr 570 del 16 maggio 1960) e ha ritenuto per tutti le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata. L'accusa contestava la falsità di 926 firme presentate a sostegno delle liste del Pdl in occasione delle elezioni del 2010: 618 per la lista regionale "Per la Lombardia" e 308 per la lista provinciale "Il Popolo della libertà - Berlusconi per Formigoni". Oggi Amicone ha confermato la falsità di quasi tutte le sottoscrizioni contestate, con l'esclusione di una decina di firme. Inoltre ha inflitto agli imputati la pena accessoria della sospensione dal diritto elettorale e li ha condannati a risarcire la Provincia, costituitasi parte civile, con 100mila euro. Infine ha dichiarato la falsità delle due liste. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra novanta giorni.

"Questo processo è stato paradigmatico per la superficialità nella ricerca della verità da parte della Procura", ha commentato Podestà fuori dall'aula, spiegando che che sulla vicenda c'è "un preconcetto" e cioè che quella sera esistesse una situazione di emergenza. Poi ha aggiunto: "Non sono sospeso ma mi potrei anche sospendere, ci mancano 20 giorni e il mio vicepresidente e i miei assessori sono in grado di fare benissimo senza di me". Guido Podestà, che alla fine dell'anno cederà definitivamente le deleghe al sindaco della Città metropolitana Giuliano Pisapia,deciderà nei prossimi giorni se lasciare prima del tempo la poltrona di presidente della Provincia di Milano dopo la condanna: "Valuterò cosa farò dal punto di vista politico, la mia reazione potrebbe anche essere quella del disimpegno in un momento politico importante"

Il suo legale, Gaetano Pecorella ha detto che: "Sicuramente avrà un peso anche nel conflitto interno alla Procura di Milano"Il procedimento a carico di Podestà era infatti uno dei motivi di scontro tra il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Alfredo Robledo, che aveva denunciato al Csm una serie di anomalie nell'assegnazione dei fascicoli. Per questo la difesa aveva chiesto di trasferire "per legittimo sospetto" il processo al Tribunale di Brescia, ma il giudice aveva respinto l'istanza. "Questo procedimento era una delle ragioni dello scontro all'interno della Procura - ha sottolineato Podestà - ma il giudice ha sostenuto che eravamo in presenza di un normale confronto tra colleghi". Comunque il caso di Podestà, come ha spiegato il suo difensore, l'avvocato Gaetano Pecorella, "non rientra in quelli contemplati nella legge Severino" sulla decadenza, in quanto "il reato di falso non è un reato contro la pubblica amministrazione ma contro la fede pubblica». Inoltre, «la vicenda non è legata alla sua carica di presidente della Provincia", bensì a quella di coordinatore regionale del Pdl. La sentenza di condanna, ha affermato il legale, "sarà certamente impugnata".

 

LA VICENDA - Podestà è coinvolto nel processo in qualità di coordinatore regionale del Pdl. Nel capo di imputazione di rinvio a giudizio si legge che "in occasione della presentazione della lista regionale Per la Lombardia, nonché della lista provinciale Il Popolo della Libertà - Berlusconi per Formigoni ai fini dell'elezione diretta del presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Lombardia, con riferimento alla competizione elettorale del 28 e 29 marzo 2010, promuoveva, nella sua qualità di coordinatore regionale del Pdl, e nell'esercizio di tale autorità, le attività di falsa attestazione in appresso descritte, indicandone le modalità specifiche di esecuzione, consistenti nell'uso dei certificati elettorali per l'estrazione dei dati necessari per l'inserimento delle generalità dei sottoscrittori delle liste dei candidati, a Strada Clotilde", già assistente dell'ex consigliere regionale Nicole Minetti eletta in quell'occasione e poi coinvolta nel processo sul caso Ruby. A chiamare in causa Podestà era stata la stessa Strada, coinvolta nel procedimento da cui poi è uscita con un patteggiamento in qualità di "vice responsabile del settore elettorale del Pdl Lombardia ma in concreto unica effettiva responsabile dell'attività di raccolta delle firme dei sottoscrittori". "

Il giorno precedente la scadenza del termine (per la presentazione delle liste, ndr), cioè il 26 febbraio (2010, ndr) - aveva messo a verbale Strada - presso la sede del Pdl c'era una grande confusione (...). Nonostante tutti gli sforzi non si era raggiunto il numero minimo di firme necessarie (...). Non sapendo cosa fare chiamai Podestà, essendo lui il responsabile politico (...). Venne in sede dopo due ore circa". In quell'occasione, stando alla versione della Strada, "gli ribadii che ormai avevamo raschiato il fondo del barile delle nostre possibilità, e che certamente non eravamo in grado di raccogliere le firme necessarie. Podestà mi guardò e mi disse: 'Avete i certificati elettorali, usateli'". Strada aveva inoltre dichiarato in sede di interrogatorio che "per quanto atteneva di coordinare i certificatori per la raccolta delle firme, tale compito fu gestito direttamente da Podestà e dall'onorevole Massimo Corsaro, i quali controllavano che ognuno svolgesse il proprio compito". Strada, secondo quanto poi ha ricostruito Robledo, "in conseguenza" dell'indicazione di Podestà, "comunicava espressamente tale disposizione a Turci Massimo, Calzavara Barbara, Mardegan Nicolò e Martino Marco, consiglieri della Provincia di Milano". E questi ultimi, in qualità di pubblici ufficiali "compilavano con le generalità complete e le firme apocrife di 926 (novecentoventisei) sottoscrittori come specificamente indicati, gli elenchi" a sostegno delle due liste "così artatamente attestando di avere previamente identificato ciascun sottoscrittore con il documento da questi appositamente prodotto, e altresì falsamente attestando come vere, autentiche ed apposte in loro presenza, le firme dei sottoscrittori".  Il processo è scaturito da una serie di esposti che i Radicali avevano depositato anche in sede civile e amministrativa, allegando una serie di articoli di stampa dell'epoca in cui si vociferava che la raccolta delle firme per la lista di Formigoni aveva subito ritardi perché la chiusura dei nomi dei candidati era arrivata all'ultimo, dopo una riunione ad Arcore in cui si sarebbe deciso di far entrare, tra gli altri, Minetti.