I cluster di Expo, promossi con riserva: i Paesi si lamentano ancora di burocrazia e spazi ristretti

L’esperimento di Milano proposto alle future Expo di Astana e Dubai. Visitatori divisi: sono interessanti, no sono dei mercatini

L’inaugurazione del cluster del riso a Expo (Foto Omnimilano)

L’inaugurazione del cluster del riso a Expo (Foto Omnimilano)

Milano, 26 settembre 2015 - I primi giorni dopo l’inaugurazione i cluster avevano messo in difficoltà l’organizzazione di Expo. I nove padiglioni collettivi, che riuniscono intorno allo stesso tema 84 Paesi che non avrebbero potuto costruire un proprio spazio, erano in parte chiusi, poco visitati, mal segnalati. A rincarare la dose, le delegazioni internazionali lamentavano di non aver ricevuto cucine, attrezzature, allestimenti e souvenir. I vertici dell’Esposizione universale erano corsi ai ripari. D’altronde, la formula dei cluster è una delle innovazioni su cui ha scommesso Milano e che ora propone agli organizzatori delle prossime edizioni, Astana 2017 in Kazakhstan e Dubai 2020 negli Emirati arabi uniti. L’esperimento piace («è una buona idea», osservano molti Paesi) ma non è riuscito al 100%, con riserve su visibilità, spazi e organizzazione. 

Del primo problema si rammaricano ancora soltanto i cluster delle isole e delle zone aride, nell’angolo nord-est del sito. «Siamo messi in un angolo, la gente che passa non si ferma», scandisce Boubacar Diouf, direttore del padiglione del Senegal. «Siamo troppo lontani dalla strada principale e sulla mappa non è chiaro quali Paesi stanno nei cluster», gli fanno eco Giordania e Mali. Pochi metri più in là, il cluster del bio-mediterraneo, deserto nelle prime settimane, è riuscito a decollare. «Grazie alla segnaletica e alle bandiere il flusso dei visitori è buono – osserva Ariche Mustapha, direttore del padiglione dell’Algeria –. I primi due mesi sono stati complicati, ma ora va bene». Conta anche l’abilità nel farsi promozione. Lo Zimbabwe ha sopportato un lungo braccio di ferro con le autorità sanitarie italiane per importare carne di coccodrillo e zebra, con cui ha farcito gli hamburger esotici che l’hanno trasformato in una tappa fissa di Expo.

Il secondo problema evidenziato riguarda gli spazi: troppo piccoli. «Ci hanno obbligato ad avere un ristorante, ma abbiamo solo due pareti per spiegare il nostro tema – incalza il giordano Nijad Al-Shakaideh –. Di contro, abbiamo un intero piano di uffici che non usiamo». Anche Karen Velasca, direttrice della Bolivia, osserva che «la dimensione del padiglione è troppo piccola quando ci sono molte persone, sabato ne sono passate seimila. Abbiamo dovuto studiare un piano di evacuazione».

Infine, i Paesi lamentano che qualche ingranaggio della macchina organizzativa si è inceppato. Innanzitutto, la gestione del tema. La Bolivia, ad esempio, è nel cluster dei cereali. «Possiamo offrire solo un prodotto – osserva la direttrice – la gente ne viene a cercare altri e ci chiede perché non ci sono». In secondo luogo, ci sono stati rallentamenti nelle pratiche burocratiche delle delegazioni. Infine, i cluster si lamentano della gestione delle consegne del materiale da parte di Db Schenker, il colosso che si occupa della logistica. Mutumba Issa Traore, responsabile del bazar del Madagascar, precisa che «i prodotti di artigianato sono arrivati con due mesi e mezzo di ritardo, mentre spezie e vaniglia solo il mese scorso. Inoltre, il container dal Madagascar a Genova ci è costato circa mille euro, da Genova a Milano 1.500 euro». «Hanno perso i nostri arredi istituzionali – aggiunge il vicecommissario del Rwanda, Divine Nakanyanje –. Purtroppo non si può negoziare». «In Spagna avevamo 60 metri quadri di magazzino, ci stava tutto – conclude la Giordania –. Qui non possiamo conservare nulla». L’operazione cluster divide anche i visitatori, tra chi li considera le aree più interessanti da vedere e chi li liquida come mercatini.

luca.zorloni@ilgiorno.net

Twitter: @Luke_like