Epifania, il cardinal Scola celebra Messa e pranza con una famiglia di profughi

L'Arcivescovo di Milano: "La vita buona è merrce rara, si acquista con impegno"

Il cardinale Scola incontra e ospita una famiglia di Palestinesi nel giorno dell'Epifania

Il cardinale Scola incontra e ospita una famiglia di Palestinesi nel giorno dell'Epifania

Milano, 6 gennaio 2016 - Solennità dell'Epifania, l'arcivescovo di Milano Angelo Scola ha celebrato la Santa Messa in Duomo: "La vita buona è oggi una merce piuttosto rara, da acquistare con coraggio ed impegno. Vero e proprio contenuto di educazione civica di cui nel nostro paese troppo spesso si sente la mancanza". Il cardinale ha poi parlato di una riflessione "sull'affaticamento della nostra Europa così come sulla necessità, invocata spesso dall'insegnamento sociale della Chiesa, di un nuovo ordine mondiale. Fattori che ci spingono a lavorare alla promozione di una democrazia sostanziale che poggi su libertà effettivamente realizzate". "Fare - ha concluso -, chiede il sapersi inchinare di fronte a Dio, o almeno ad un senso compiuto del vivere, che affratella la famiglia umana".

Al termine della celebrazione, Scola ha pranzato in Curia con una famiglia di profughi palestinesi. Ospite è stata la famiglia Hamdawi, composta da nove persone, in Italia da 8 mesi. Sono musulmani di origine palestinese: gli antenati fuggirono nel 1948 in Iraq a causa della guerra. A raccontare il lungo peregrinare che li ha fatti approdare a Milano, è stato Khaled, il figlio maggiore: "Nel 2008 eravamo a Baghdad, dove mio padre era titolare di un grande garage. Più volte minacciato, ha deciso di andare via dopo che tutte le persone che lavoravano nel garage sono state uccise per ritorsione. La confusione nel Paese ci ha indotto a fuggire. Da Baghdad siamo andati a Erbil per circa quattro mesi". Gli Hamdawi comprendono che, a causa della loro origine, rimanere in Iraq è problematico. Approdano in Siria. "Non potevamo tornare in Palestina - ha ammesso Khaled -  e nemmeno restare in Iraq, ci avrebbero uccisi". Anche in Siria, però, la permanenza non è possibile: il viaggio tribolato prosegue allora in Turchia. Qui la vita è ancora più difficile: subiscono furti, non hanno casa, finiscono a vivere in una tenda, in otto per due anni: "Nel campo eravamo in duemila". Ecco il primo approdo in Italia: nel 2010 sono a Riace Superiore, in Calabria. Ottengono una casa per un certo periodo, ma poi l’espulsione. "Non parlavamo l’italiano, avevamo difficoltà e non la cittadinanza, quando siamo usciti dall’Italia non sapevamo dove andare - ha ricordato Khaled -. Per due settimane abbiamo dormito in stazione a Roma, poi siamo partiti per la Svezia, dove abbiamo chiesto asilo politico come rifugiati. Lì siamo rimasti un anno e poi, quando è nata la mia ultima sorella, siamo tornati in Italia, ancora in Calabria, vicino a Palmi. Siamo stati lì per un altro anno, finché non abbiamo avuto tutti i documenti".

La famiglia è allora partita per la Danimarca, dove è rimasta due anni e mezzo. E poi di nuovo in Italia: "All’aeroporto della Malpensa per tre notti abbiamo dormito in strada. Poi ci hanno mandato alla Stazione Centrale di Milano e ci hanno detto che lì c’era un progetto per l’accoglienza dei migranti...". E l’incontro con Casa Suraya: "Ci siamo rimasti otto mesi, poi siamo andati a Cinisello Balsamo, presso una casa della parrocchia - riprende il giovane -. Siamo da un mese e possiamo rimanere per un anno e mezzo". Il desiderio ora è quello di costruirsi un futuro: "I miei fratelli hanno cominciato ad andare a scuola, io e mio padre cerchiamo un lavoro. Vogliamo inserirci, voglio anche riprendere a studiare". Per quello che è accaduto nell’ultimo anno in Italia la gratitudine è immensa. Il bene ricevuto si tramuta in bene donato: "A Casa Suraya è come se avessimo una famiglia. A Cinisello Balsamo abbiamo conosciuto le persone che vivono nel contesto della parrocchia, ci troviamo bene. Vado anche a fare volontariato alla Caritas e a dare una mano con i profughi alla Stazione Centrale".

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