Dove mangiare? Sempre più lontano da casa, boom dei take away

Secondo i dati della Federazione italiana pubblici esercizi, i centri storici stanno assistendo alla chiusura di bar e locali tradizionali

Take away

Take away

Milano, 18 gennaio 2017 - Crollano i consumi alimentari nelle case, i centri storici assistono impotenti alla chiusura di bar e locali tradizionali a vantaggio di anonimi take away e, per converso, cresce l’interesse per pranzi e cene lontano dalle mura domestiche, quasi a rivelare un bisogno diffuso di essere accuditi ma anche di condividere con altri il rito sacro della tavola. Dati che parlano e qualche volta smentiscono luoghi comuni o tesi accreditate come vere. E se non è un «de profundis», non è nemmeno la passerella su cui fare sfilare la retorica della cultura alimentare che starebbe salvando l’Italia inguaiata nella congiuntura post-2008. Perché i numeri presentati ieri a Milano dalla Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) nel nuovo «Rapporto Ristorazione» compongono una realistica fotografia in bianco e nero: in 8 anni (2007- 2015) gli italiani hanno ridotto drasticamente la spesa destinata al cibo in famiglia lasciando per strada oltre 18 miliardi di euro. 

Al contrario sfamarsi in un bar o in un ristorante è un’abitudine sempre più consolidata se è vero che la sua incidenza si attesta sul 35% del totale delle spese alimentari. Un’evidenza anche nel 2016: 6 italiani su dieci consumano la colazione in bar o pasticcerie (per 4 milioni di connazionali si tratta di un rito quotidiano), per 34 milioni di connazionali (67% della popolazione) è normale pranzare fuori casa (forte interesse per osterie trattorie) ed è addirittura del 61% la percentuale di chi consuma almeno una cena al mese lontano dalla propria residenza. Come dire: la crisi picchia duro, ma nel Belpaese il settore che sembra tenere di più è quello della ristorazione. C’è un boom di nuovi esercizi, con una sensibile impennata di locali con servizio (+17,6 in Italia sempre tra il 2008 e il 2016; a Milano +18,7 con 1.250 nuove imprese) e di gelaterie e pasticcerie (+10,1%) , ma a fronte di un significativo calo dei bar (-3,9%) e di un’esplosione dei take away, che sembra avere depauperato i centri storici (+ 41,6% in 8 anni), privandoli - è la tesi della Fipe e quindi della ConfCommercio – di presìdi e indirizzi di qualità. In realtà, come ha ripetuto il presidente della Fipe Lino Enrico Stoppani, l’altissimo tasso di chiusure di esercizi publici dimostra che c’è una diffusa sofferenza e che la liberalizzazione promossa dal governo anni fa non è stata foriera di novità esaltanti, mentre la stessa Federazione dà un giudizio positivo sull’utilizzo dei voucher.

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