A lezione di dialetto: quei "beniss de gess" e le battaglie del Carnevale

Nel ‘700 i confetti (coriandoli), per la gioia dei bambini, venivano gettati dai carri allegorici durante il carnevale. Successivamente questi confetti vennero sostituiti dai "benis de gess" – confetti di gesso che costavano molto meno dei confetti e che ne conservarono il nome di GIANFRANCO GANDINI

"Tòcch de Milan"

"Tòcch de Milan"

Milano, 30 aprile 2016 - Il coriandolo è una pianta con piccoli fiori bianchi. Lo stesso nome veniva dato a un confetto che aveva al suo interno un seme di questa pianta. Nel ‘700 i confetti (coriandoli), per la gioia dei bambini, venivano gettati dai carri allegorici durante il carnevale. Successivamente questi confetti vennero sostituiti dai «benis de gess» – confetti di gesso che costavano molto meno dei confetti e che ne conservarono il nome. Ma i festeggiamenti per il carnevale durante il corso degli anni subirono varie degenerazioni: qualcuno iniziò a lanciare monete roventi che ustionavano chi le raccoglieva e i profumi che venivano gettati dai carri alle dame all’interno di gusci d’uovo, vennero sostituiti da sostanze maleodoranti e i gusci d’uovo sostituiti da vere uova marce.

Per contrastare queste degenerazioni nel 1597 il governatore Velasco ordinò che fosse lecito lanciare solo uova d’acqua muschiata e veramente odorifera, vietando altresì di usare piccoli strumenti e altri artifici per spargere il profumi. Con la pena, per i contravventori di tre tratti di corda o 25 scudi e senza possibilità di remissione. La degenerazione coinvolse anche i benis de gess che furono sostituiti persino da pallottole di fango, tanto che anche i coriandoli furono vietati. I milanesi non ne furono contenti in quanto si facevano vere e proprie battaglie tra i carri e schiere di combattenti che si recavano apposta alla sfilata. La folla incitava i combattenti al grido di «succ! succ!» (siete all’asciutto), in quanto le opposte fazioni si preoccupassero di rimanere all’asciutto di benis de gess, quindi senza proiettili da lanciare sulla parte avversa.

Bene si colloca un passaggio della poesia del Rajberti che descrivendo i sacrifici delle donne durante le Cinque Giornate di Milano scrive: «Pù nè lacrim, nè ciacol, Eren el balsem de la providenza: Lor colà piomb, lor medegà ferid, Lor mett coracc a tucce fà, col coeur strasciaa, bocchin de rid... E la bardassaria? Tutt a on bott l’è cressuda in del giudizzi, Beati e smanios de fa servizzi, E de mettegh la pell comesessia. Lor sù e giò per i strada portà intorna avvis, e in pee di barricada fà segn che rivaven i nemis, E vosagh adree succ! ai s’cioppettad. Come fan sabet grass cont i benis...».

(Basta lacrime e parole. Erano il balsamo della provvidenza, loro colare piombo, medicare ferite, loro mettere coraggio a tutti. E fare col cuore stracciato dal dolore, sorrisi, loro fare bende e strisce di tela e persino trattare lo schioppo come fosse un ago. E mandare all’altro mondo un sacco di tedeschi. (I Martinitt) e i giovani, la ragazzaglia? Tutto a un tratto è cresciuta nel giudizio, beati e smaniosi di fare servizio, anche di rimetterci la pelle, sia come sia. Loro su e giù per le strade a portare avvisi e in piedi sulle barricate a far segno che arrivano i nemici e gridare “Succ” alle schioppettate come fanno il sabato grasso con i confetti). Rimediò a questa carenza l’ingegner Enrico Mangili che pensò di usare i dischetti di scarto dei fogli delle lettiere dei bachi da seta (i bigatt) e che in seguito vennero prodotti ricavandoli da fogli appositi di carta colorata.

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