La Milano di Dario Crapanzano: zingare, mangiafuoco e quei tram bianchi in Porta Venezia

A novembre ha fatto perfino da “Cicerone". Nei suoi romanzi ha scritto di Brera, della latteria delle mitiche sorelle Pirovini, del Jamaica. Ma Porta Venezia resta nel suo cuore

Lo scrittore milanese Dario Crapanzano e la copertina del suo nuovo libro ambientato nel Dopoguerra (Newpress)

Lo scrittore milanese Dario Crapanzano e la copertina del suo nuovo libro ambientato nel Dopoguerra (Newpress)

Milano, 31 luglio 2016 - Il suo prossimo romanzo, atteso per fine agosto negli Omnibus Mondadori, titolo “Il mistero della giovane infermiera”, si apre in una clinica privata. Ambiente inedito per Dario Crapanzano, narratore di lungo corso e di consolidato successo, che, nei suoi gialli milanesi, ha sinora esplorato case di ringhiera, ma anche case chiuse, teatri, bar, studi pubblicitari. Consueto, invece, il quartiere: la clinica della morte, ovviamente di fantasia, si trova dalle parti di via Benedetto Marcello. La Zona di Milano che Crapanzano ha vissuto, ha amato e che non cessa di raccontare.

Dario Crapanzano, con lei si va sul sicuro: la sua Milano è Porta Venezia.

"Già, è proprio così. Ho scritto anche di Brera, della latteria delle mitiche sorelle Pirovini, del Jamaica. Ma Porta Venezia resta nel mio cuore. Anche perché io lì sono nato, precisamente in via Casati 2. E poi perché è bella, via Malpighi, via Morgagni, quelle case in stile liberty. Il Diurno, splendido. La palazzina oggi biblioteca comunale. La ex “Casa della Tuta”: fuori montavano la guardia due omoni in divisa, una bianca, una rossa, con gli occhialoni da motociclista. Pensi che lo scorso novembre a Porta Venezia ho fatto da Cicerone: una visita guidata di oltre due ore".

Milanesi nostalgici?

"Non solo: anche tanti giovani, merito di Instagram. E tutti curiosissimi. Bastava un accenno: la casa del soldato. E giù domande".

Una vecchia caserma?

"Non esattamente. Era una costruzione in stile razionalistico, diciamo, in Benedetto Marcello. Dove la domenica pomeriggio si ritrovavano folle di soldatini di leva. C’era anche un’orchestrina, composta sempre di militari. Così con i soldati arrivavano anche tante domestiche, soprattutto venete. Allegri pomeriggi danzanti, e tante ghiotte prede per quei giovanotti. Belle ragazze, mi creda. Quelle che non si facevano insidiare lì, andavano ai bastioni di Porta Venezia".

Magari arrivavano in tram…

"Sì, lì c’era anche la stazione dei tram bianchi, linee per Vimercate e paesi vicini. Era un posto di grande affluenza di gente. Coloratissimo. La zingara con il pappagallo che ti pescava il biglietto con il tuo futuro. Il mangiafuoco. Quello in età ma ancora forte da spezzare le catene. Quell’altro che mangiava i bicchieri…".

Ne parla con nostalgia, Crapanzano. Tutto cambiato, vero? Un paragone con l’oggi?

"Difficile, se non impossibile. Guardi soltanto Buenos Aires. Adesso è una sfilata di negozi di vestiti e mutande. Allora i negozi erano veri. Nel corso aprivano le vetrine due pescherie, una vicina a Oberdan, l’altra a metà della strada. E i lattai: andavi con la tua bottiglia di vetro, te la riempivano e la tappavano con la stagnola. Lo stesso per l’olio. O il vino. Sì, capisco che la nostalgia abbellisce i ricordi, ma oggi, quando uno fa acquisti, manca quel rapporto personale con il negoziante".

E con le portinaie…

"Ah, quelle, poi… Erano delle istituzioni. Quando un vigile voleva sapere qualcosa, si rivolgeva alla portinaia. E non sapeva qualcosa: sapeva tutto".

Mi hanno favoleggiato di una superstite sala da ballo animata da maestri insuperabili in pista…

"Deve andare in via Cadamosto, vicino al commissariato di polizia. Associazione Combattenti e Reduci: troverà una saletta di legno, vecchia, anteguerra, e poi una sala da ballo enorme. Il proprietario è lo stesso della balera all’aperto dell’Ortica. Ma quella è più elegante".

Oggi però Porta Venezia gode di cattiva fama: una piccola casbah?

"Ma lo è sempre stata… La prima zona di Milano dove s’installarono gli africani, dove sono nati i primi ristorantini etnici. Oggi non abito più lì, ma vi sono passato più volte di recente. Problemi? Non più che nel resto di Milano".

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