Metti un Natale in casa Salemme: "I miei borghesi tutti da ridere"

“Una festa esagerata...!” in scena al Teatro Manzoni

Vincenzo Salemme  racconta ambizioni e ipocrisie nell’odierna società

Vincenzo Salemme racconta ambizioni e ipocrisie nell’odierna società

Milano, 12 dicembre 2017 - Natale in casa Salemme. Che le tradizioni non si toccano. Al limite si rileggono. E così ogni volta che il comico napoletano passa da queste parti per le feste, si respirano atmosfere eduardiane. D’altronde la formazione è quella: in bottega dai De Filippo. Impossibile confondersi. Anche di fronte a “Una festa esagerata...!”, nuova commedia scritta e diretta dallo stesso comico napoletano, da oggi all’1 gennaio al Manzoni. Con lui in scena Nicola Acunzo, Vincenzo Borrino, Antonella Cioli, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero, Giovanni Ribò e Mirea Flavia Stellato. Per un lavoro corale. Dove la piccola borghesia mette alla berlina sé stessa. E i suoi sogni di gloria.

Salemme, ma cosa si festeggia sul palco?

«I diciott’anni di nostra figlia. In realtà è mia “moglie” che ci tiene particolarmente, ha grandi ambizioni sociali, vuole fare la scalata. E allora ecco che la festa di compleanno si trasforma in una vetrina per mettersi in luce, dove invitare pure l’assessore, i giornalisti, le personalità locali».

E lei come la vive?

«Male, molto male. Sono un piccolo imprenditore edile, a me certe cose non piacciono. E tutto esplode nel momento in cui un’ora prima della festa muore l’inquilino del piano di sotto. Può immaginare: prima il dolore, la misericordia, poi il fastidio, l’insofferenza. L’edificio si veste a lutto e inizia una vera battaglia fra me e gli altri, che rappresentano un mondo in cui io proprio non mi ritrovo. Il finale è ovviamente una sorpresa».

Sembra proprio De Filippo.

«Le dico solo che di fronte all’attico dei protagonisti vive tale Signor Cupiello... Tutta la commedia è un grande omaggio alla tradizione, a quelle anime belle del teatro che mi hanno insegnato tanto, a partire dalla serietà sul lavoro. A rispettare il pubblico e il mestiere. Io sembro uno che sta sempre a ridere e a scherzare, ma sono molto disciplinato. Poi purtroppo non ho quella penna, ma non posso lamentarmi».

Qual è la piccola borghesia di cui parla?

«La maggioranza silenziosa di questo paese. Tutte quelle persone che non si esprimono apertamente, troppo educate per rivelare le loro emozioni. Ecco, io dico rivelatevi. Anzi: riveliamoci. Vogliamoci bene. Anche perché quella fame ambiziosa da soddisfare non sempre è positiva. Come diceva Steve Jobs?».

Stay hungry, stay foolish, rimanete pazzi e affamati.

«Ecco, a me non è mai piaciuto. Magari pazzi, curiosi. Ma affamati no».

A marzo esce anche il film tratto dalla commedia.

«Sì, l’abbiamo concluso. Mi è già successo di passare dal teatro al cinema, prima o poi devo fare il contrario. Un piccolo film artigianale, cinema d’autore».

Dopo tanti anni invece come vede il teatro?

«Per quanto mi riguarda non posso lamentarmi. Ora aspettiamo Milano ma finora è andata benissimo. Credo che dopo quarant’anni di mestiere il pubblico abbia fiducia in quello che propongo, sa che non tradisco. La gente riconosce sempre il lavoro».

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