Il ricordo diventa di pietra. E Milano un museo diffuso

Giovedì 19 la prima "Pietra d'inciampo” in corso Magenta; la lapide dedicata ad Alberto Segre

TESTIMONE Nella foto in alto il Binario 21 luogo della Shoah milanese

TESTIMONE Nella foto in alto il Binario 21 luogo della Shoah milanese

Milano, 17 gennaio 2017 - «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case...». Le parole di Primo Levi risuonano attraverso la bella e potente voce dell’attrice Franca Nuti, nella sala dell’Orologio di Palazzo Marino. E cala il silenzio. Da tante di quelle «tiepide» abitazioni ebrei ed oppositori politici milanesi furono strappati agli affetti, alle loro vite, deportati nei campi di sterminio nazisti, gli uni per la «sola colpa di essere nati ebrei», gli altri per aver «avuto il coraggio eroico di opporsi alla dittatura». A ricordarli dopo tanto oblio, saranno le «Pietre d’inciampo», quel progetto di museo diffuso della memoria che ha conquistato mezza Europa e che finalmente viene realizzato anche a Milano. Sei i primi sampietrini ricoperti d’ottone che saranno posti, giovedì, dall’artista Gunter Demnig, sotto le abitazioni di chi non fece più ritorno da Auschwitz, da Gusen o Mauthausen.

E la prima «pietra» delle sei, dal centro alla periferia, sarà installata alle 12, sotto la casa di Alberto Segre, in corso Magenta 55, oggi sede di Cairo Editore, come ha illustrato la figlia, Liliana, sopravvissuta all’Olocausto e oggi presidente del Comitato milanese «Pietre d’inciampo». Comitato che raccoglie le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell’antifascismo (unica eccezione è l’Associazione Rosa Camuna) e ha ricevuto la forte e convinta adesione del Comune di Milano. Liliana è da anni un «testimone pubblico», continua ad incontrare migliaia di giovani ed è stata lei a contribuire a far riscoprire uno dei luoghi della memoria fra i più importanti di Milano, il Memoriale della Shoah, quel “Binario 21’’ dal quale partirono fra il ’43 e il ’45 convogli carichi di deportati diretti in Germania. «Io e mio padre eravamo unitissimi - ricorda Liliana che si separò per sempre da lui all’arrivo ad Auschwitz -. Un uomo meraviglioso e disperato per non essere riuscito a salvarmi. Sono contenta che venga ricordato insieme agli altri con questi sampietrini. Milano arriva per ultima ma per fortuna ci siamo messi in moto. Spero che aiuti i milanesi a riflettere. Le pietre sono un monito diffuso e discreto contro quell’atteggiamento che ha reso possibile la Shoah, l’indifferenza».

TESTIMONE Nella foto in alto il Binario 21 luogo della Shoah milanese Sotto Liliana Segre e il sindaco Giuseppe Sala
TESTIMONE Nella foto in alto il Binario 21 luogo della Shoah milanese Sotto Liliana Segre e il sindaco Giuseppe Sala

Quando gli viene chiesto di spiegare il suo progetto Demnig si rifà ad un passo dal Talmud: «Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome». Fra le prime dediche milanesi oltre a Segre (e altri due ebrei, Adele Basevi Lombroso in via Vespri Siciliani 71 e Dante Coen in via Plinio 20, entrambi deportati ad Auschwitz) anche quella di Gialuigi Banfi, fondatore insieme con Belgiojoso, Peressutti e Rogers dello studio di architettura e urbanistica Bbpr (via Dei Chiostri 2), morto a Gusen. Un’altra pietra in via Milazzo ricorderà il «gappista» Melchiorre De Giuli, deportato a Dachau e morto nel sottocampo di Überlingen. E l’ultima a Giuseppe Lenzi, collaboratore di Ferruccio Parri, morto nel campo di Gusen. «Con questo progetto abbiamo scelto convintamente di dare una marcia in più alla Giornata della Memoria - ha spiegato il sindaco di Milano Giuseppe Sala -. Cercando di evitare che tutto diventi rito e cerimonia. La memoria deve incontrare la gente nei quartieri, coinvolgere la città e interrogare tutte le generazioni».

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