I Taviani, artigiani del cinema: la rassegna al Mic celebra i fratelli Paolo e Vittorio

Da martedì “Gli artigiani del cinema italiano: i Taviani” a cura di Fondazione Cineteca

Paolo e Vittorio Taviani, sul set de “La masseria delle allodole”

Paolo e Vittorio Taviani, sul set de “La masseria delle allodole”

Milano, 7 genaio 2018 - Forse perché sono in due, ma gli ultraottantenni fratelli Taviani sono un radioso esempio di longevità artistica, di quel raro tipo (come Eastwood o Allen) che non perde colpi in concentrazione, gestione del set, qualità. Solo qualche anno fa hanno posizionato in salotto anche l’Orso d’oro a Berlino, con “Cesare deve morire” (2011). Ora è ancora in sala un antico, amato e riuscito progetto, la trasposizione del romanzo di Fenoglio “Una questione privata” (stesso titolo), col quale i fratelli del cinema italiano tengono duro sul bisogno di non perdere il sentimento del tragico annidato nella memoria di fatti collettivi ed emozioni private della Seconda guerra mondiale. Celebra questo film, e in fondo una carriera intera, la rassegna (da martedì al 18 al Mic) “Gli artigiani del cinema italiano: i Taviani” a cura di Fondazione Cineteca.

Rivedremo “Cesare non deve morire”, rivisitazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare con i carcerati di Rebibbia, una bella silloge dell’opera dagli anni ’70 a oggi, tra cui “Padre padrone” (1977), Palma d’Oro a Cannes, “La notte di San Lorenzo” (1982) e “Kaos” (1984), che hanno ottenuto tutti il David di Donatello al miglior film, al miglior regista e alla miglior sceneggiatura. In cartellone anche altri titoli di una filmografia a braccio di ferro con l’utopia, la fiducia nella cultura e nel cinema come riscatto: “Un uomo da bruciare” (1962), “I soversivi” (1967), “Good Morning Babilonia” (1986), “Allosanfan” (1974), “La masseria delle allodole” (2007) (il programma completo, che alla proiezione di “Kaos”, mercoledì 10 prevede l’incontro con Giovanna Taviani, regista e saggista, figlia di Vittorio.

Sul loro modo di recepire la Storia e rileggerla, qualche tempo fa, durante un lungo incontro, ci ha fatto il punto Vittorio: «Se si pensa un po’ alla maggioranza dei nostri film, in genere noi raccontiamo delle sconfitte. Eppure non sono film che negano la vita. “Allosanfan”: vengono tutti ammazzati, è vero. In “Un uomo da bruciare”, Salvatore viene ucciso. In “Sovversivi” c’è la sepoltura di Togliatti. Ne “Il prato”, il ragazzo muore. Eppure è proprio da questa disperazione, da questo buio che nei nostri film rinasce il bisogno di vita. La Bibbia dice che in fondo la storia dell’uomo è una storia di sconfitte. E mi sembra che sia Bobbio che dice: il dolore, nella storia dell’umanità, ha vinto sulla gioia, la morte sulla vita, eppure c’è un cono di luce dentro il quale, se tu riesci a entrare, puoi ripartire di nuovo. Io direi che nei nostri film mi sembra che ci sia sempre questo percorso. Qualcosa per cui poi il film alla fine… Certo, qui è importante il linguaggio».

(Nella foto al centro: Paolo e Vittorio Taviani, sul set de “La masseria delle allodole”).

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