Ninì Pietrasanta, milanese alpinista tra le prime donne a scalare il cielo

La storia romantica e spericolata di una stella degli anni Trenta

Tutta l’eleganza e l’ardimento di Ninì

Tutta l’eleganza e l’ardimento di Ninì

Milano, 26 novembre 2017 - UNn airresistibile voglia di scalare montagne. Fu questa la vita di Ninì, vezzeggiativo del serioso pentanome Ortensia Ambrogina Adelaide Carlotta Aideé. Ninì Pietrasanta, nata nel 1909 in Francia, a Bois-Colombes, dove il padre Riccardo, docente alla Bocconi, si trovava per lavoro, interpretò la sua lunga vita (morì ad Arese nel 2000) come una continua arrampicata, divenendo negli anni Trenta una stella dell’alpinismo estremo italiano.

Primeggiare era il suo impulso: prima italiana, insieme con la napoletana Mary Varale, a cimentarsi in una specialità fin lì riservata agli uomini; tra le primissime a guidare una Balilla; la prima a praticare una sorta di rudimentale sci d’acqua lungo il Naviglio Grande; la prima a portare nel sesto grado una cinepresa da 16 mm e una piccola fotocamera, con le quali minuziosamente documentava grandi imprese e vita quotidiana in alta montagna. La storia di Ninì Pietrasanta non si esaurisce però in un elenco di primati: contiene anche pagine di romanticismo, tragedia e stoicismo, che ne fanno una delle figure più forti e avventurose del Novecento. Persa la madre in tenera età, Ninì viene a vivere a Milano col padre, che la inserisce nell’alta borghesia e la educa a una libertà inimmaginabile per una ragazza dell’epoca. La disinvoltura, il coraggio e il talento di Ninì incarnano a quel tempo, senza che lei lo volesse, il modello di “donna nuova” vagheggiato dal regime fascista. Formatasi alla musica, alla pittura e alla fotografia, dotata di fascino e naturale eleganza, Ninì potrebbe anche essere una delle “Signorine Grandi Firme” di Gino Boccasile. Comincia le ascese con le guide Giuseppe Chiara e Tita Piaz, affrontando vette sempre più impegnative: la Punta Thurwieser attraverso la cresta sud; poi, nel 1929, la nord del Lyskamm Orientale, che è la vetta più alta del Lyskamm nel massiccio del Monte Rosa (prima ascensione femminile dopo la storica maschile del 1861); il versante nord del Corno Bianco. L’ambiente alpinistico si accorge di lei e le dedica ammirata attenzione. Così la descrive un editoriale de Lo Scarpone, organo ufficiale del Club Alpino Italiano: «Una gentile fanciulla che difende la propria passione nei confronti di un’opposta tendenza che vorrebbe vedere la donna vera solo sotto l’aspetto di un fiorellino ovattato, privo di energie e di colore, e senza un carattere e una proprio personalità».

Nell'estate del 1932, l’incontro della vita. Avviene a Chamonix, dove il torinese Gabriele Boccalatte, conosciuto come valente pianista nonché forte scalatore, scivola durante una scalata e si ferisce. Viene curato da Ninì, che da poco ha conseguito (anche questo…) il diploma di infermiera. Insomma, scocca l’amore. Pietrasanta e Boccalatte per alcuni anni formano una formidabile coppia sportiva: conquistano la parete ovest dell’Aiguille Noire de Peuterey, tra le più belle del versante italiano del Bianco, aprono nuove vie, ripetono ardite ascensioni. Il 28 agosto 1936, scalano il pilone nord-est del Mont Blanc du Tacul, che prende il nome di Gabriele Boccalatte (c’è anche un Pointe Ninì altrove) e fa meritare ai due la medaglia d’oro al valore atletico. Sarà la loro ultima scalata compiuta in coppia. Il 28 ottobre si sposano, e nel 1937 hanno un bimbo: Lorenzo. Un anno dopo, Boccalatte tenta, insieme con Mario Piolti, un nuovo percorso sulla parete sud dell’Aiguille de Triolet. È il 24 agosto 1938: i due alpinisti precipitano rovinosamente, e i loro corpi vengono ritrovati dopo qualche giorno ai piedi del ghiacciaio delle Grandes Jorasses, il cui rifugio porta oggi i loro nomi. Ninì, spezzata dal dolore, sentendosene tradita, volta le spalle alla montagna e chiude definitivamente con corde e piccozze, dedicandosi al solo piccolo Lorenzo e decidendo di non raccontargli mai nulla della passione sua e di Gabriele per la montagna: nulla dei successi, nulla delle tante imprese. Lorenzo, così, diventa uomo sapendo soltanto che il padre era un eccellente pianista.

Tutto questo, finché non trova la verità della storia dei suoi genitori in una sterminata documentazione conservata da Ninì in un armadio nella sua casa ad Arese: 2.400 fotografie meticolosamente catalogate, diari delle scalate, appunti, spezzoni delle pellicole in 16 mm girate tra il 1932 e il 1936. Un fondo culturale di straordinaria importanza per inquadrare l’alpinismo italiano della prima parte del Novecento. Il materiale, insieme con quanto scritto dalla stessa Ninì soprattutto in Pellegrina delle Alpi (1934, Vallardi) concorre nel 2014 alla lavorazione del pluripremiato documentario Ninì per la regia di Gigi Giustiniani e Raffaele Rezzonico. D’altronde, a pensarci, forse mai come per Ninì Pietrasanta, una vita fu come un film.

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