Oberdan, il fascino (in)discreto di Luis Buñuel

Una rassegna che celebra il maestro spagnolo con 13 film girati tra il 1929 e il 1977

Scena da “Estasi di un delitto” (1955)

Scena da “Estasi di un delitto” (1955)

20 agosto 2017, Milano - Giorni d’estate abbandonati al dormiveglia di realtà ambigue, ribaltate e verissime, in una parola: i film di Luis Buñuel. Nella sua autobiografia, che aveva già un titolo ai confini della realtà e delle emozioni, “Dei miei sospiri estremi”, c’è un veritiero autoritratto artistico: «Se qualcuno dovesse dirmi che mi restano vent’anni da vivere e mi chiedesse come vorrei passarli, risponderei: datemi due ore di attività al giorno, e passerò le restanti ventidue a far sogni, ammesso che possa ricordarli. Amo i sogni, anche quando sono incubi, che è poi quello che succede di solito».

Buñuel in tredici film, da “L’age d’or” (1929) a “Quell’oscuro oggetto del desiderio” (1977), l’omaggio che Fondazione Cineteca dedica al maestro (da domani al 25 settembre all’Oberdan), ha giustamente come icona del manifesto la Severine-Deneuve di “Bella di giorno”, titolo inserito in rassegna. È un film chiave del flirt continuo, nel cinema di Buñuel, tra sessualità e dissacrazione. Perché “Bella di giorno” è considerato un capolavoro? Per il ritratto amore&psiche di una donna moderna, alla radice della borghesia che predicava la rettitudine e desiderava l’indecenza, purché occultata nel dominio della moralità. Per la perfetta fusione tra realtà&sogno, che allo spettatore indica costantemente l’interiorità e l’esteriorità del personaggio, il vissuto e il desiderio. Per la capacità, nella data storica e millenaria dell’emancipazione femminile, di suggerire la sessualità come un mistero chiuso in una scatola segreta (per esempio, la celebre custodia del cliente orientale, Vaso di Pandora dell’orgasmo femminile, favoleggiato, già mitizzato). Per tutte queste cose insieme. E come si fa a non rivederlo?

Con la prima e l’ultima opera sopra citata in una carriera lunga 50 anni, da quel film-etichetta del surrealismo al raffinato sguardo sulla seduzione erotica («A cosa può pensare una ragazzina quando il vento le scopre le cosce?», era una battuta di Buñuel) troviamo in cartellone titoli da antologia come “Il fantasma della libertà” (1974), “Il fascino discreto della borghesia” (1972), “Tristana” (1970), “L’angelo sterminatore” (1962) e quei titoli meno frequentati dal non-cinefilo, da non perdere se si tratta di una prima visione, come “El” (1952), “Simon del deserto” (1965), “I figli della violenza” (1950), “Nazarin” (1952), “Estasi di un delitto” (1955).

Dicono a ragione gli organizzatori dell’omaggio: «Rivedere e ripensare i suoi film significa immergersi nelle acque cristalline della massima libertà espressiva e insieme attraversare l’intera cultura del ’900: letteratura e arti figurative, modernismo e avanguardie, psicoanalisi e surrealismo, pensiero critico e contestazioni».

Da domani al 25 settembre al cinema Oberdan, via Vittorio Veneto 2 Milano.

Silvio Danese

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