Laraaji apre Terraforma: "La mia musica della natura e dell’anima"

Apre la rassegna dedicata all’ambiente

Laraaji

Laraaji

Bollate (Milano), 23 giugno 2017 - Stava suonando in un parco a New York quando Brian Eno si innamorò della sua musica. Seduto in posizione yoga, gli occhi chiusi, neanche si accorse che il destino gli stava passando accanto. Ma fortunatamente il destino gli lasciò un bigliettino nel sitar… Nacque così nel 1980 «Ambient 3: Day of Radiance». Un cult. E da allora Laraaji (Edward Larry Gordon), ha sempre seguito la propria ispirazione, in bilico fra polistrumentismo, meditazione, ambient ed elettronica. A Terraforma arriva con un doppio appuntamento: domani alle 11 il suo workshop di yoga della risata; alle 16.30 il concerto, in attesa dell’uscita a settembre del lavoro con il dj Carlos Niño. Insomma: la filosofia orientale incontra il clubbing.

Laraaji, cosa proporrà a Terraforma?

«Guiderò un gruppo di persone all’interno dei benefici terapeutici e meditativi delle grasse risate. Ma suonerò anche la musica della natura, una musica salutare, rilassante, lenitiva con il Sitar elettrico, la kalimba africana e l’antico gong cinese del vento».

Proviamo a spiegare di cosa si tratta questa meditazione della risata.

«I miei workshop offrono alla gente l’opportunità di vivere le loro risate come una comprovata e salutare pratica medica. Accompagno le persone in una play-zone dove possono suonare le loro risate, inviandole poi in diverse zone del corpo da liberare, stimolare, aprire. Durante questi momenti, io diffondo i suoni dell’antico gong cinese, prima di chiudere con movimenti del corpo a terra e un Om di gruppo».

Quali sono le ragioni del suo essere musicista?

«Amo la musica perché mi permette di essere in comunione con il mio spirito più leggero e di muovermi oltre il tempo e lo spazio. Arrivo così ad espandermi, alla beatitudine. Inoltre suonare musica celestiale mi permette di dare ai miei compagni le ali per muoversi in un cielo più libero e luminoso».

Ali per fuggire come quando era bambino?

«Sì, ma solo temporaneamente dalla realtà più densa e pesante. Innalza i miei sensi verso quei sentimenti di unione nascosta dietro la nostra apparente separazione».

Quando ha deciso di cambiare nome?

«Nel 1978, mentre stavo suonando il sitar per «The tree of life», una comunità spirituale di Harlem. È stata una pratica spirituale, il mio rendere omaggio alla natura divina e alla presenza del sole».

Come fu il suo primo incontro con Brian Eno?

«Avvenne durante una performance serale in Washington Square Park. Era il 1979. Stavo suonando in una posizione di trance meditativa (asana) con gli occhi chiusi. Mi lasciò un appunto nel sitar dicendo che era interessato ad avermi nel suo imminente progetto discografico di ambient music…».

Dopo tanto tempo cosa prova per il suo «Ambient 3»?

«È una registrazione sempre fresca, che offre una continua nuova esperienza d’ascolto. In me genera un profondo calore e immagini poetiche, lo considero una delle mie registrazioni al sitar meglio prodotte e più ispirate. Merito della guida visionaria di Brian Eno».

Com’è ora collaborare con la scena dei club?

«C’è un legame con il pubblico che va oltre qualsiasi apparenza. È un’esperienza magica ed emozionante osservare la gente muoversi in stati più profondi attraverso la musica».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro