Catozzella: "I centri sociali che scuola di vita"

La sua scuola di vita sono stati i centri sociali e l’Università Statale di Milano. In questi posti Giuseppe Catozzella ha passato gran parte della sua giovinezza, diventando poi uno scrittore affermato

L’autore milanese Giuseppe Catozzella  ha pubblicato il suo primo libro «Espianti» nel 2008 L’ultimo  è  «Il grande futuro»

L’autore milanese Giuseppe Catozzella ha pubblicato il suo primo libro «Espianti» nel 2008 L’ultimo è «Il grande futuro»

Milano, 13 agosto 2017 - La sua scuola di vita sono stati i centri sociali e l’Università Statale di Milano. In questi posti Giuseppe Catozzella ha passato gran parte della sua giovinezza, diventando poi uno scrittore affermato. Premio Strega Giovani nel 2014 con «Non dirmi che hai paura», un libro che ha venduto circa 500mila copie in tutto il mondo, Catozzella ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2008 («Espianti»). Il suo ultimo lavoro è uscito nel 2016 con il titolo «Il grande futuro» e racconta la storia di un ex combattente di un gruppo fondamentalista.

Sei nato e cresciuto a Milano, i tuoi primi ricordi della città?

«Sicuramente quelli legati ai parchetti sotto casa dove giocavo da piccolo e il Parco Nord, al confine tra Milano e Bresso».

Che scuole hai frequentato?

«Ho fatto il liceo scientifico a Cinisello e poi ho frequentato filosofia alla Statale di Milano. Il mio maestro è stato Carlo Sini, un grande filosofo. Si respirava un bel clima in università, allora era facile trovare movimenti e luoghi di aggregazione e confronto».

C’è un posto che ti sta particolarmente a cuore?

«Mi viene in mente proprio il Parco Nord. È vicino casa e ci ho passato molti momenti importanti della mia vita, io dico che per noi di Milano quel parco è come il mare per una città costiera. Ma ce ne sono altri di luoghi che non posso dimenticare. La zona dell’Università Statale, dove ho passato anni fondamentali. Poi l’area attorno alla Scala, dove c’era la Feltrinelli in via Andegari. Lì ho lavorato per diversi anni».

Trovi che la città e i milanesi negli anni siano cambiati molto?

«Direi di sì. La città sicuramente moltissimo negli ultimi anni. Con l’Expo ha riconquistato una certa vitalità culturale e sociale, anche se molto diversa rispetto a quella che c’era prima. Il vero cambiamento di Milano è avvenuto in epoca Moratti, quando un modo di stare assieme, come centri sociali e circoli, venne spazzato via».

Tu frequentavi quel mondo?

«Certo, frequentavo anche centri sociali e circoli, ma non solo. Andavo a ballare, facevo di tutto. Tra i più belli c’era il Bulk, un centro sociale in zona Cimitero Monumentale. E poi la Stecca degli artigiani, era nel cuore dell’isola, uno spazio autogestito veramente avanti per l’italia. Era simile ai centri sociali di Berlino. Si chiamava così perché era una corte dove lavoravano gli artigiani e lì dentro trovavi di tutto: DJ, cinema d’essai con proiezioni pazzesche, gruppi dal vivo, laboratori di design e di tante altre cose. Adesso l’unico storico che è rimasto è il Leoncavallo. Come ho detto, l’epoca Moratti ha spazzato via tutto».

Quanto sono stati importanti per la tua formazione?

«Sono luoghi che mi hanno formato su libri, teatro e musica, erano posti di condivisione. Ma poi tutti questi centri di aggregazione sono stati chiusi ed è rimasto solo un tipo di divertimento pettinato e con la camicia. Erano luoghi occupati, ma ormai erano delle vere istituzioni».

Subito dopo la laurea sei partito per fare esperienza all’estero...

«Sono andato via appena laureato. Avevo lavorato in Mondadori per qualche mese, ma non volevo restare in Italia perché la trovavo asfissiante, era difficile fare qualsiasi cosa. Così sono partito per il Paese più lontano, l’Australia, e sono stato circa un anno lì. All’inizio non mi mancava l’Italia ma dopo un po’ sì, soprattutto la nostra tradizione e la nostra storia. Sono tornato quando è scaduto il visto, ma comunque ho continuato a viaggiare, non ho mai smesso».

Milano quale dei tuoi libri ha ispirato?

«Alveare, è tutto costruito su Milano e sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta».

La situazione rispetto a quando hai scritto il libro è migliorata?

«Penso che sia invariata. È un argomento che giornalisticamente forse va un po’ meno di moda, se ne parlava molto qualche anno fa. Ora c’è un po’ meno attenzione, però il problema c’è ancora».

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