La Gazza ladra val bene la Scala, dopo 176 anni

Molti i motivi che rendono appuntamento tra i più interessanti della stagione scaligera La Gazza Ladra di Rossini, che debutta mercoledì prossimo

La Gazza ladra alla Scala

La Gazza ladra alla Scala

Milano, 6 aprile 2017 - Molti i motivi che rendono appuntamento tra i più interessanti della stagione scaligera La Gazza Ladra di Rossini, che debutta mercoledì prossimo. Il primo, più ovvio, è che l’opera è un capolavoro assoluto. Il secondo è che è un titolo ancora relativamente poco conosciuto, e che alla Scala - dove ebbe il suo battesimo nel 1817 - manca da 176 anni: doveroso quindi riparare celebrandone il bicentenario. Il terzo è che l’avvenimento, per lo meno sulla carta, è stato preparato in modo ottimale.

È un piacere farsi contagiare dall’entusiasmo con cui Riccardo Chailly parla dell’opera: «Quasi incredibile, che una simile cattedrale di musica (uso un termine caro ad Alberto Zedda, cui sarà doverosamente dedicata la serata del 12 in cui s’ascolterà l’opera nell’edizione critica da lui approntata nel 1973), che al suo apparire suscitò un autentico delirio sollecitando riprese per 7 anni di fila, sia di colpo sparita per così tanto tempo. Certo il motivo può essere la non comune difficoltà: vocale, strumentale, di durata, e anche il particolare taglio stilistico connaturato all’essere la Gazza un’opera che appartiene al genere detto “semiserio”.

Parte in un’atmosfera leggera, festevole con qualche sottile nube. Poi il clima s’ispessisce, il dipolo drammaturgico tra purezza e umanità di Ninetta e la figura losca del Podestà lo fa virare via via verso una drammaticità che tocca punte di tragico culminanti in una marcia funebre nella quale è evidente come Rossini abbia saputo guardarsi attorno nell’Europa musicale del suo tempo, quel do minore gemello di quello che sostiene la marcia funebre dell’Eroica di Beethoven: e finisce nello sgomento d’un silenzio carico d’angoscia, prima del rimbombo di ben 123 rintocchi di campana e d’una scarica di fucili (tutto in partitura, si badi!) che inducono a credere alla fucilazione di Ninetta, ritenuta rea di furto, salvo scoprire poi, con una spettacolosa modulazione a do maggiore, che quei rumori agghiaccianti erano invece di gioia per la scoperta della sua innocenza. Che grande opera!».

Regia affidata a Gabriele Salvatores: che torna quindi a far teatro a Milano, dopo i mai dimenticati 18 anni all’Elfo (dal 1972, quando nacque, al 1990 quando lo lasciò per il cinema, guadagnandosi l’Oscar con Mediterraneo). «Una gioia enorme. Ho la fortuna d’avere una compagnia di grandi attori (Rosa Feola, Ninetta; Michele Pertusi, il bieco Podestà; Alex Esposito, Fernando padre di Ninetta; Edgardo Rocha, l’innamorato Giannetto; Serena Malfi, en travesti nei panni di Pippo; Paolo Bordogna e Teresa Iervolino, padre e madre di Ninetta; Matteo Macchioni, il rivendugliolo Isacco progenitore del verdiano Trabuco) e di disporre di una straordinaria acrobata - Francesca Alberti - che sarà la Gazza coi suoi movimenti divisi tra la fune nell’aria e una coreografia mimica al suolo. È lei che provoca gli avvenimenti, fa entrare e uscire i personaggi mettendoli in relazione, sorta di deus ex machina travestito da regista. Si diverte, persino. Un po’ come Rossini, credo...».

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