Caparezza canta Freud: "La mia psicoanalisi è il rap"

In concerto con il "Prisoner 709” tour

Caparezza

Caparezza

Assago (Milano), 6 dicembre 2017 - Se "Ti fa stare bene” sia o no il singolo italiano più forte dell’anno lo decideranno le classifiche, certo è che Caparezza con quella chitarra funk e quel coro tipo-Antoniano ha fatto centro ancora una volta. E un Forum esaurito fino all’ultimo posto (ma ci sono ancora biglietti per lo show del 23 febbraio al Pala Yamamay di Busto Arsizio) confermano la presa di un album sorprendente come “Prisoner 709”. Prigioniero di chi? «Di me stesso, naturalmente. Lo 0 di 709 ha la forma di un disco, di questo disco, che cerca nella psicanalisi dei Freud, degli Jung, degli Zimbardo, ma pure nelle teorie di un padre della neurologia quale Oliver Sacks, la chiave per farmi evadere dalle mie gabbie mentali». Per farlo uscire da quei labirinti della mente lunghi come il tunnel della sua canzone più famosa. «Il rap è la prima forma di psicoanalisi, in cui l’artista si esprime in maniera libera, come un in un flusso di coscienza».

La seduta analitica, pardon l’album - in cui trovano spazio pure Darryl McDaniels (il leggendario DMC dei Run DMC), John DeLeo, Max Gazzé - inizia con “Prosopagnosia”, vale a dire l’incapacità per problemi neuronali di riconoscere i volti «che nel mio caso era soprattutto l’incapacità di riconoscere me stesso», e finisce con “Prosopagno sia!”, ovvero la ricerca di un modus per convivere con le difficoltà, «perché la fuga dalle proprie prigioni può avvenire solo con l’accettazione di sé, dei propri limiti e disagi». E lo spettacolo segue esattamente la costruzione del disco, relegando nella seconda parte hit come “Non me lo posso permettere”, “Vieni a ballare in Puglia” o “Mica Van Gogh”. «Questo lavoro è forse un po’ anomalo, ma con la mia casa discografica godo di totale autonomia», spiega.

«Il disco avrebbe potuto essere inaccessibile come “Spirit of Eden” (il più conclamato insuccesso commerciale dei Talk Talk - ndr) e nessuno avrebbe avuto da ridire. Per me, infatti, l’unica cosa che conta è la genuinità di quel che faccio e che ogni nuova prova discografica fotografi la mia vita esattamente così com’è nel momento in cui la incido. Un disco o un film, più che piacere, devono esistere. Se scrivi pensando di dover soddisfare un determinato tipo di pubblico che lo fai a fare?».

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