Tesori di carta alla Cittadella degli archivi comunali, da Verdi all'impresa himalayana

Tracce del passato della città e di esperienze straordinarie

Francesco Martelli, direttore della Cittadella degli Archivi (Newpress)

Francesco Martelli, direttore della Cittadella degli Archivi (Newpress)

Milano, 20 febbraio 2018 - Vi parlano di archivio e subito pensate ad un posto polveroso, noioso, dove uno sbadiglio tira l’altro. Ma la Cittadella degli archivi del Comune di Milano è un luogo magico, dove sono custoditi tesori di carta e migliaia e migliaia di documenti che narrano di vite semplici ma anche straordinarie, come quelle di chi si impegnò nell’imponente spedizione italiana dell’Himalaya, nel 1929, del Duca degli Abruzzi, finanziata dal podestà di Milano.

Tracce che fanno parte del ricco patrimonio archivistico milanese che grazie ad un’attenta politica di digitalizzazione riemergono con tutte le loro storie. E che dire delle lettere che giunsero da tutto il pianeta a Palazzo Marino dopo la morte di Giuseppe Verdi, avvenuta il 27 gennaio del 1901 (nella stanza numero 105 del Grand Hotel et de Milan che aveva scelto sin dal 1872 come sua residenza milanese), compresa un’orazione funebre della Sorbona datata 7 marzo 1901? Un evento planetario come neanche accadde per la morte di Alessandro Manzoni che pure ebbe rilievo nazionale. Tutti volevano esserci al funerale del compositore autore della Traviata e così il Comune si trovò a dover «dirigere» l’evento e a dover dare indicazioni sulla circolazione delle carrozze. Di tutto ciò esiste traccia nelle carte del Comune custodite in archivio. E fu così che un mese dopo la sua morte, ancora una folla commossa di milanesi seguì il trasferimento della salma nella cripta della casa di riposo per musicisti da lui fondata. Di Verdi, primo contribuente del Regno, senatore a vita per meriti artistici, si conserva anche una delle ultime lettere scritte di suo pugno, prima di morire, indirizzate al Comune e nella quale declinava cortesemente un invito. Ci accompagna in questo entusiasmante viaggio, il direttore della cittadella degli archivi Francesco Martelli, formazione in finanza ma appassionato di storia milanese e arte contemporanea. Il tour inizia in via Gregorovius, al civico 15, un lembo della periferia nord a qualche chilometro dal Niguarda. Qui, da qualche anno, stanno rientrando carteggi e documenti che prima era sparsi nelle sedi del Comune. Solo per darvi un’idea del posto pensate che nel vecchio archivio comunale di via Deledda si «lavorano» 60 pratiche alla settimana e adesso, dicono con orgoglio, sono 1.500 al mese. E sono già impacchettati circa altri settemila faldoni che attendono di essere trasferiti.

Tutto affluisce qui, dalle delibere dell’urbanistica ai Lavori pubblici di Palazzo Marino sino ai fondi storici, «vere e proprie chicche». Come il fondo, inedito, di cui accennavamo prima, della pre-spedizione del «Caracorum» oggetto di studio dal Dipartimento di Storia della Università Statale che ne ha già eseguito l’inventario con i docenti Marco Cuzzi, Stefano Morosini e Stefano Twardizk, e che presto sarà oggetto di pubblicazioni e di un convegno internazionale. La prima tappa è nel «cuore» dell’archivio. Qui si bonificano le carte, si estraggono le pratiche da mettere a disposizione degli uffici nella versione digitale.

La svolta è arrivata con Eustorgio, una specie di robot realizzato esclusivamente per l’archivio meneghino da una ditta di Reggio Emilia, il più grande in Europa, che è capace in quattro minuti e mezzo di cercare una quantità di carte che un umano non troverebbe mai in questo lasso di tempo. Si muove (si fa per dire perché utilizza solo braccia meccaniche lunghissime) in uno spazio che arriva a custodire sino a 70 chilometri di carte. Ma siccome finora ne sono stati occupati solo 45 chilometri (con un risparmio calcolato sui 20 milioni di euro stando al valore degli immobili liberati dagli archivi) per Eustorgio è quasi un gioco da ragazzi. Deve essere stato così che tra una richiesta e l’altra sono spuntate carte di cui qui vanno orgogliosi tutti. «Non vogliamo sostituirci ai musei o alle gallerie - spiega il direttore - ma grazie anche all’appoggio decisivo dell’assessore Roberta Cocco abbiamo deciso di raccontare attraverso l’arte e le carte l’immenso patrimonio che abbiamo, col progetto Cittadella dell’arte». Ed è così che fra i carteggi è spuntato anche un fondo che raccoglie tutte le mostre patrocinate dal Comune di Milano dal 1960 ad oggi e copre tutti gli ambiti della cultura, dai pomeriggi musicali sino alle grandi mostre dei grandi artisti che ancora tali non erano, da Sgrò a Fornasetti. «Pensi - dice Martelli - che a Fornasetti opposero un bel no alla sua richiesta di poter utilizzare la sala delle Cariatidi per fotograre i suoi mobili. Abbiamo deciso di studiare questo fondo con il Dipartimento di Beni culturali della Statale. Ma quello su Fontana è fra i più interessanti. È del ’72 la prima mostra celebrativa che si fece a Milano. Qui custodiamo foto e lettere dei collezionisti che prestarono le opere». E di Fontana, ad esempio, racconta ancora il direttore, abbiamo le foto oggetto di «rifiuto» del progetto di realizzazione di una delle porte del Duomo, «con tanto di lettera e carta intestata della Fabbrica del Duomo».

L’altra linea di ricerca riguarda il «fondo israeliti», ritrovato dopo anni grazie alla tenacia di Emanuele Edallo, ricercatore di Storia alla Statale di Milano. Una miniera di informazioni che ancora si stanno studiando e di cui abbiamo avuto un piccolo assaggio con la presentazione in Comune del censimento degli impeigati comunali allontati dal lavoro in seguito all’emanazione delle leggi razziali. Un ritrovamento che consentirà di incrociare i dati con quelli in possesso al Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) e quindi recuperare tante storie finite nell’oblio in questi ultimi settant’anni. È a dir poco intrigante la storia ricostruita attraverso «il contratto» per l’acquisto dell’opera Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti, uno dei primi casi di fundraising dello storia.

Andò così. Siamo nel 1952, gli amministratori si interrogano sul fatto se sia opportuno spendere 135 milioni per comprare l’opera quando le necessità a Milano sono quelle di costruire case, servizi. Il sovrintendente ai Beni culturali fa pressione, l’opera fa gola agli americani ma anche a Firenze. Interviene Fernanda Wittgens, storica dell’arte italiana, la prima donna a dirigere la Pinacoteca di Brera, che convince i mecenati milanesi - le famiglie Crespi, Rizzoli, Stramezzi, Borletti Buitoni – a mettere mano al portafoglio e a donare i primi 16 milioni. «Questa cosa fa sbloccare la partita in consiglio comunale - racconta il direttore dell’Archivio comunale - e si acquista l’opera. In realtà subito dopo i privati si sfilano ma ormai si procede e nel 1953 i 119 milioni mancanti li mette il Comune». Dopo due ore di tour altre storie reclamano l’urgenza di essere raccontate. E c’è , dice bonario il direttore, ancora il tempo per dirne una, ricostruendo, attraverso un bando di gara salvato dalle fiamme di un incendio, la vicenda del gonfalone di Sant’Ambrogio alla cui fattura contribuì tal pittore Sala a cui fu chiesto di attenersi a precise disposizioni nell’uso dei colori, «oro, bianco, nero, grigio e verde», gli stessi che campeggiano fuori dalla struttura, che sembra solo un modesto capannone, nei murales che accolgono lo stranito visitatore della Cittadella degli archivi. Street art realizzata da artisti italiani e stranieri, anche iraniani, che hanno saputo raccontare sui muri la storia di questo luogo del cuore che merita di essere aperto a tutti i cittadini milanesi.

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