Milano, 8 giugno 2014 - “I protagonisti del 1914 erano dei sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubi ma ciechi di fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo”. È la sentenza, terribile, con cui un grande storico inglese, Christopher Clark (insegna a Cambridge), chiude la sua monumentale opera sulle radici e l’inizio della Prima Guerra Mondiale (600 pagine di testo, altre 100 di note, un impressionante apparato di documentazione). Il titolo è, appunto, “I sonnambuli”, per Laterza. E nel racconto si incrociano tensioni imperialistiche (della Germania prussiana, della Francia, della Gran Bretagna allarmata per i rischi d’una Europa a dominio tedesco e attenta ai traffici globali sui mari e perfino dell’Italia, da poco Stato unitario e vogliosa di spazi africani) e crisi dei vecchi imperi (l’Austria-Ungheria e il mondo turco-ottomano). Spinte nazionalistiche, a cominciare dalla Serbia. Nuove culture. Originali alleanze (tra generali, banchieri e grandi industriali). Potenti conflitti di classe (tra spinte rivoluzionarie socialiste e nostalgie d’ordine).

Un universo in movimento, contraddittorio. Cui imprime una straordinaria velocità lo sviluppo di nuove tecnologie, dai trasporti (le ferrovie, per massicci movimenti di truppe, gli aerei) alle telecomunicazioni: l’industria diventa macchina di guerra, si afferma “il complesso militar-industriale” che tanto peserà lungo il corso dell’intero Novecento. C’è un luogo simbolo, in cui tutto s’inizia: Sarajevo, la città in cui l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando viene assassinato dall’anarchico serbo-bosniaco Gavrilo Princip. Ma le cause vanno ben al di là dell’incidente. E le tensioni nell’area dei Balcani (cui Clark dedica pagine lucidissime) scuotono l’intera Europa. La ragione cede il passo alla guerra. Un colpo di pistola, come detonatore. Ma anche un fiume di parole. Una cultura che civetta con la guerra e ha strascichi anche dopo la difficile pace di Versailles (aprendo la strada al fascismo, al nazismo e ai totalitarismi d’un terribile Novecento).

Ne scrive Luciano Canfora, in un saggio breve e denso, “1914”, Sellerio, descrivendo “la sospensione della politica” (uomini di corte e militari si sostituiscono ai parlamenti, l’informazione cede il passo alla propaganda, ben retribuita, come dimostra “Il libro paga dello Zar” trovato dal bolscevichi con le somme versate da Nicola II ai giornali francesi per esasperare il clima bellico contro la Germania.
Anche l’Italia ha un suo peso, fa “La scintilla” (come scrivono lo storico Franco Cardini e il polemologo Sergio Valzania per Mondadori), aggravando le tensioni nel Mediterraneo (con la conquista della Libia nel 1911, ai danni dell’impero turco) e ai confini con l’Austria. “Guerra breve”, dicono politici e generali. Non sarà così.

Lo documenta Norman Stone in “La prima guerra mondiale” edito da Feltrinelli. Il fronte e le retrovie. Le mosse di battaglia e le trame politiche. Dieci milioni di morti. Una inutile strage. Raccontata, dal fango delle trincee, da “Il grande balipedio – Sangue, paura, follia: la missione suicida di un giovane tenente sul fronte dell’Isonzo”, un duro romanzo di Carlo Della Corte pubblicato da Endemunde. Tutt’altro che “la bella morte” dei retori. Serve, averne anche oggi memoria.