PESA ANCORA, il potere della mafia, su economia, politica e società. Cosa Nostra, la mafia siciliana, è vero, è indebolita, dopo anni di indagini e processi, con molti boss in galera e beni, per miliardi, sequestrati e confiscati. La camorra campana perde colpi. Ma la ‘ndrangheta calabrese è fortissima e ha esteso la sua presenza criminale in molte aree del Nord, stravolgendo il mondo degli affari. Vale dunque la pena “tenere alta la guardia antimafia” e riflettere sulle misure da prendere, di repressione e di prevenzione. E fare crescere la coscienza civile.

La buona saggistica d’attualità può dare una mano. Come il “Manifesto dell’Antimafia”, scritto da Nando dalla Chiesa per Einaudi. Libro essenziale. Perché ricorda che “la vera forza della mafia sta fuori della mafia” e cioè in quell’”area grigia” segnata da convergenza d’interessi economici (il denaro mafioso non puzza...), complicità culturali, pigrizia morale. E insiste sul fatto che la lotta alla mafia non riguarda solo le forze dell’ordine e la magistratura e non si fonda “sulle suggestioni eroiche che circondano talvolta i protagonisti dell’antimafia”, ma ha bisogno dell’impegno delle forze economiche sane (l’Assolombarda, per esempio, ha fatto una scelta netta di legalità), delle organizzazioni sociali (come “Libera” di don Ciotti, attiva nell’uso positivo dei beni confiscati ai mafiosi), dei cittadini “portatori di superiori livelli di libertà e di etica pubblica”. Antimafia come civiltà. Una battaglia attuale.

Maria Antonietta Calabrò, in “Le mani della mafia” edito da Chiarelettere, aggiornando un libro del 1991, parla di “finanza e politica tra Ior, Banco Ambrosiano, Cosa Nostra” e documenta come “la storia continua”: trame, traffici, misteri non svelati, complicità tra mafiosi e uomini d’affari. Scorre, nelle pagine, la storia nera d’Italia. E se sullo Ior, la banca vaticana, è finalmente cominciata, per impulso determinante di Papa Francesco, un’operazione di pulizia, il lavoro da fare è ancora molto. E difficile.

Per capire meglio, vale la pena ricordare la storia d’Italia. E leggere, tra l’altro, “La mafia e lo Stato” di Emanuele Macaluso, pubblicato da Edizioni di Storia e Studi Sociali: un excursus su “l’organizzazione criminale e la politica dalla prima alla seconda Repubblica” scritto da uno storico leader del Pci che ancor oggi è lucido critico di questi tempi difficili.

Tema politico, la lotta alla mafia. E non solo giudiziario. Lo spiegano bene anche un giurista, Giovanni Fiandaca e uno storico, Salvatore Lupo, nelle pagine de “La mafia non ha vinto”, edito da Laterza, affrontando il controverso tema della presunta “trattativa” tra Stato e mafia, dopo le stragi Falcone e Borsellino del 1992. Nessuna trattativa formale, documentano i due autori. E inattendibili (e interessati ai propri interessi) i testi che ne avevano parlato, come Massimo Ciancimino, figlio del boss politico-mafioso don Vito. Molta propaganda anti-istituzionale (sino a lambire gli inquilini del Quirinale). Nessun fatto giudiziariamente rilevante. Restano le trame tra mafia e certi ambienti politici, che i due autori ricordano. E sono ancora vive le esigenze di un giudizio politico e morale, su certi attori della storia recente. Ma lo Stato, finora, ha vinto. E la mafia è in difficoltà. La battaglia continua.