Milano, 25 ottobre 2013 - Che l'Italia sia “Una nazione in coma” è fuor di dubbio e Piero Buscaroli pur essendosene fatta una ragione, non si priva del dolore di raccontare come e perché si sia impaludata al punto di scomparire moralmente, culturalmente, politicamente. Diventare cioè irrilevante. Il suo è stato un lento suicidio che certo non è incominciato nel 1945, ma da allora ha indiscutibilmente subito un’accelerazione che nessuno ha potuto arrestare. Anzi, in tanti, con un attivismo degno di miglior causa, si sono prodigati per affrettare la “fine di un mondo” che pure aveva dato nei secoli prove di grandezza inimitabili alle quali Buscaroli, come estrema vendetta contro le meschinità del presente, rimane ostinatamente avvinto. E comincia con il rendere omaggio al capostipite moderno dei “resistenti” alla menzogna ed alla viltà intellettuali: l’eroe vandeano Charette de La Contrie riportato da Solzenicyn agli onori dell’attenzione che merita come protagonista di un’epopea dimenticata la cui memoria venne annegata nel sangue dai rivoluzionari del 1793.

L’Italia non è stata immune dalla grande falcidia operata in nome della Dea Ragione e perciò Buscaroli prende le mosse da essa per spiegare la sua fine, in questo autentico Zibaldone di ricordi, scritti sparsi e soltanto apparentemente disomogenei, suggestioni e valutazioni storiche, incontri ed eventi seguiti per sessant’anni da vicino. Una fine, oltretutto priva di grandezza come nella storia lo state tante volte le nazioni, gli Stati e gli imperi, già preconizzata da Benedetto Croce alla Costituente, quando pronunciò parole definitive sul “Trattato di pace”: “Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte”. E invece c’è stato chi ha volto a suo vantaggio la disfatta:“Gente senza prestigio e senza coraggio, senza idee e senza volontà, senza dignità e senza cultura”, osserva Buscaroli. Ecco chi ha fondato ed occupato la Repubblica.

C’è rabbia, nostalgia per un’altra Italia (quella dei secoli che non tramontano) in questo libro, ma anche lo spazio per il ricordo di quietanti personaggi nella patria in rianimazione, amici e maestri che le restituiscono parzialmente l’onore perduto come Soffici e Paratore, Longanesi e De Vergottini, Messina, Praz, Cardarelli. Una nazione in coma è l’esegesi finale di un anatomopatologo che non può dire quanto durerà il coma e se mai ne usciremo.

di Gennaro Malgieri

Piero Buscaroli,
“Una nazione in coma”,
Minerva edizioni