di Luca Zorloni

Milano, 9 ottobre 2012 — Piacevano anche a Machiavelli, le carte. L’autore del «Principe» racconta all’amico Francesco Vettori in una lettera datata 10 dicembre 1513, durante il suo esilio da Firenze, che per ingannare il tempo il pomeriggio si infilava in qualche bettola per darsi al gioco d’azzardo. Poi la sera si ritirava nel suo studio, indossava gli “abiti curiali” e si dedicava allo studio dei classici greci e latini.

Il Machiavelli forse non conosceva un mazzo di 78 carte che avrebbe conciliato la sua passione per il gioco con la conoscenza degli antichi. Si tratta dei tarocchi cosiddetti Sola Busca dai nomi dei due collezionisti privati di cui si ha conoscenza, la marchesa Busca Serbelloni, dal 1802, e per eredità il conte Sola. È il mazzo più antico al mondo giunto ai giorni nostri completo, con tutte le carte al loro posto. Il ministero per i Beni e le attività culturali lo ha acquistato nel 2009 e l’ha destinato alla Pinacoteca di Brera, dove sarà esposto, con la curatela di Laura Paola Gnaccolini, da martedì prossimo al 17 febbraio 2013.

I tarocchi di Sola Busca sarebbero piaciuti al Machiavelli perché non servivano a predire il futuro e non facevano dilapidare denaro come le carte da osteria. Erano un gioco per cervelloni, praticato dagli umanisti del Quattrocento, dai nobili delle corti italiane e dagli scienziati che allora li frequentavano e che si presentavano con il biglietto da visita di alchimisti.

Le 78 carte, divise tra 56 dei quattro semi tradizionali italiani (denari, spade, bastoni e coppe) e i 22 «trionfi», ovvero le figure simboliche, rappresentavano una sorta di rompicapo spirituale. Chi completava il gioco si elevava spiritualmente. Acquisire conoscenza giocando, i pedagogisti di oggi sarebbero d’accordo. Le figure miniate sulle carte si discostano dall’iconografia tradizionale dei trionfi. Vi sono rappresentati gli uomini illustri dell’antichità e della Bibbia, modelli virtuosi: Catone l’Uticense, suicida per rigore morale, simboleggia il trionfo della Morte, Venturio sta alla Fortuna e ad Alessandro Magno, guerriero imbattibile, è dedicato il mazzo di spade.

Ma a guardare più fondo, dietro gli eroi del passato si nasconde un’altra simbologia, quella degli alchimisti. Che fa del mazzo di denari in particolare una descrizione fase per fare della trasformazione dei vili metalli in oro per mezzo della pietra filosofale. «Non solo una conquista materiale - spiega la curatrice - ma una metafora dell’elevazione dello spirito grazie al sapere».

Gli studi sul mazzo Sola Busca hanno permesso di dare un volto e un nome sia all’artista che ha dipinto le carte sia alla mente che ha ideato il «poker per umanisti». Il primo si chiama Nicola di maestro Antonio, di Ancona. Si ispira ai dipinti del padovano Squarcione e li mixa con lo stile di Carlo Crivelli e con influssi fiorentini. Il secondo invece è Ludovico Lazzarelli, anch’egli marchigiano, un proto Pico della Mirandola che ne sapeva di greco, ebraico, cabala e alchimia. Miniato nel 1491 a Venezia, probabilmente per lo storico Martin Sanudo il giovane, il mazzo viene destinato a Brera che già conserva i 48 trionfii tardogotici del duca di Milano, il cosiddetto mazzo Brambilla.

Ma perché nulla di quel raffinato svago per umanisti è rimasto nei tarocchi moderni, detti i «marsigliesi», rifacimenti francesi del Cinquecento basati proprio su quelli della Milano gotica? Perché il mazzo Sola Bosca era un gioco pericoloso. Da alchimisti, che sostenevano di poter conseguire una conoscenza simile a quella di Dio. Nel Cinquecento suonava troppo audace. E quando il gioco è bello, si sa, dura poco.

«Il segreto dei segreti. I tarocchi Sola Busca», alla Pinacoteca di Brera da martedì 13 novembre al 17 febbraio 2013. Catalogo Skira.
 

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