Milano, 28 gennaio 2012 - Dodici come gli apostoli. E tutti irriducibili, persino più di loro, neppure un Pietro sfiorato dalla paura. Nel giugno 2008 la fabbrica europea della Polaroid, alla periferia dI Enschelde, città industriale nell’Est dei Paesi Bassi, 1.200 operai a pieno regime, chiuse le catene: fallimento. Ma dodici dipendenti, tutti veterani, fra i 23 e i 34 anni di fedeltà aziendale, decisero di non arrendersi, di provare a rilanciare la produzione della pellicola per le fotografie istantanee della famosa macchinetta. Missione impossibile, quasi: infatti la nuova società prese il nome di «Impossible».


Tutta colpa del progresso, questa volta sotto la veste del «digitale», concorrente temibile e terribile sul bruto versante dei costi. Un progresso che ha colpito al cuore il prodotto di successo lanciato oltre settant’anni prima da Edwind Land, geniale inventore e imprenditore, secondo solo a Edison per numero di brevetti depositati. Ma che per molti amanti del clic rimane un mito. «Certo, la Polaroid è la sola vera foto immediata», rivendica con entusiasmo Mirko Albini, professionista dell’obiettivo che l’ha scoperta alla tenerissima età di tre anni: «Scattavo a caso con la vecchia macchina fotografica a soffietto di mio nonno». Che ha usato la Polaroid in quasi tutti i formati nel suo lavoro anche parigino. E che alla Polaroid ha dedicato una seducente mostra, «Polaroid: easy art?»: 130 stampe di 89 artisti e fotografi di varia estrazione, provenienti da dodici Paesi. Mostra itinerante, ora ospite sino al 26 febbraio del Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia.


Artisti che, naturalmente, non si limitano a inquadrare, scattare, attendere. Come fanno, meglio, facevano, i comuni mortali - per i quali domani è previsto un «percorso di laboratorio», ore 11, 12, 14 e 15 -. In quel minuto, al massimo due, in cui il processo chimico trasforma un brandello di realtà in un minipanorama di carta, sull’immagine nascente si può attuare una gamma di work in progress: graffiarla, ripassarla con un pennello, distorcerla, bruciarla.


Così, è immediato, e brillante di colori, unico trucco il flash, il ritratto di Dita von Teese, la celebrata regina del burlesque, firmato da Nicola Delorme, parigino che per due anni ha fotografato solo artisti e businessmen che finanziano lavori di artisti. Mentre è già più nostalgicamente sfumata la vecchia Cinquecento, dal titolo inatteso, «Pot de yaourt», vale a dire «vasetto di yogurt», immortalata da Renaud Bessaih. E sembra una fotografia a cavallo fra il Surrealismo e l’avanguardia russa prima dell’impero del Realismo il «Kissed» elaborato da Zora Strangefields, artista che ama nascondere i suoi clic in posti curiosi sperando di offrire a chi li troverà una sorta di storia non raccontata: non c’è abbastanza mistero nel mondo, spiega.


Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, Milano, via Olona 6. Fino al 26 febbbraio. Info: 02.485551.