"Uccise nostro figlio, ora chiede scusa. Niente sconti, merita solo l’ergastolo"

La famiglia di Roberto, ammazzato a 18 anni in piazza Tirana

A sinistra il padre la sorella e la madre di Roberto Halim Farouk Samir (Newpress)

A sinistra il padre la sorella e la madre di Roberto Halim Farouk Samir (Newpress)

Milano, 24 gennaio 2018 - «Ha ucciso una persona senza motivo. Ha rovinato una famiglia senza motivo. Quest’uomo non merita di uscire dal carcere, non deve tornare libero neppure per un solo giorno della sua vita. Vogliamo giustizia». Lo dice tra le lacrime Farouk Halim, 51 anni, papà di Roberto Halim Farouk Samir, il 18enne nato a Milano, di origine egiziana, ucciso lo scorso 8 luglio con due colpi di cacciavite al cuore fuori da un locale di piazza Tirana dal marocchino Mostafa El Gatnaoui, pregiudicato 52enne e noto balordo della zona. Il papà, a Milano da 26 anni, chiede giustizia con al suo fianco la moglie Mariam e la figlia Marina, 17 anni, che parla pure a nome del fratellino di 8 anni quando dice: «Abbiamo perso tutto, Roberto non tornerà mai più. Chiediamo almeno che la persona che ci ha provocato questo dolore straziante paghi per il resto della sua vita». La famiglia chiede questo alla vigilia dell’udienza che si terrà oggi in Tribunale. «L’imputato – spiega l’avvocato della famiglia Halim, Cristina Parati – ha chiesto il rito abbreviato. Noi ci opponiamo. E vorremmo che non si spegnessero i riflettori su questa vicenda».

Farouk Halim mostra anche una lettera speditagli da Mostafa El Gatnaoui lo scorso settembre: «Sono molto dispiaciuto per quello che è accaduto», scrive, precisando che quella sera avrebbe voluto prendersela «con altri che mi hanno picchiato, erano in quattro contro di me. Ma chi ha pagato è il povero Halim. Vi chiedo perdono». Una lettera che non fa che riaccendere la rabbia: «Non perdono chi ha ucciso mio figlio. E poi, che vuol dire, che avrebbe voluto uccidere un’altra persona? Io chiedo non esca più dal carcere non solo perché deve pagare per ciò che ha fatto ma anche perché è una persona pericolosa, che aveva già aggredito». Per la famiglia, intanto, va avanti il lavoro nel ristorante pizzeria Mamma Orsa in viale Caterina Da Forlì, dove anche Roberto dava una mano quando non era impegnato ad aiutare lo zio muratore, «ma è dura vivere senza il nostro ragazzo. Di lui ci manca tutto», continua il papà.

Domenica avrebbe compiuto 19 anni, «siamo andati al cimitero Maggiore a portare i fiori sulla sua tomba. Siamo cristiani ortodossi, lo abbiamo sepolto lì. Ogni volta è una ferita che si riapre, per noi è un dolore che non passa». Non si dà pace. E se gli si chiede di parlare del figlio scoppia di nuovo in lacrime. Riesce solo a dire che «era meraviglioso. Oltre a lavorare, ogni tanto giocava a calcio. Il sabato sera gli piaceva rilassarsi fuori». E quella sera, interviene la sorella Marina, «non sarebbe nemmeno dovuto essere in piazza Tirana. Di solito andava sui Navigli ma aveva fatto tardi. Essendo in quella zona, aveva chiesto ai suoi amici di raggiungerlo lì». Poi il diverbio con Mostafa El Gatnaoui, poco prima di mezzanotte. «Roberto gli aveva chiesto di non soffiare in faccia alle altre persone il fumo della sigaretta, di non mettere i piedi sul tavolo. E lui lo ha aggredito col cacciavite: perché al cuore? Perché in un punto vitale? Ha voluto uccidere, con cattiveria», la convinzione del papà. Che non si stanca di ripetere: «Voglio giustizia».

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