Sanità, cantiere riforma: risorgono quattro ospedali autonomi

All’ospedale San Paolo, la «prima uscita ufficiale», per il testo e per l’allegato, con la mappa del sistema sanitario ridisegnata in 8 Agenzie di tutela della salute (al posto di 15 Asl) e 22 Aziende socio-sanitarie territoriali, sulla quale la maggioranza s’è spaccata di Giulia Bonezzi

L'ingresso dell'ospedale San Paolo di Milano

L'ingresso dell'ospedale San Paolo di Milano

Milano, 7 luglio 2015 -  Spuntano altre quattro aziende ospedaliere all’orizzonte della riforma della sanità lombarda. Ne parlano il leghista Fabio Rizzi e l’alfaniano Angelo Capelli, estensori del testo licenziato dalla commissione regionale Sanità, che domani passa alla Bilancio ed è atteso martedì prossimo nell’aula del Pirellone. Ieri, all’ospedale San Paolo, la «prima uscita ufficiale», per il testo e per l’allegato, con la mappa del sistema sanitario ridisegnata in 8 Agenzie di tutela della salute (al posto di 15 Asl) e 22 Aziende socio-sanitarie territoriali (Asst), sulla quale la maggioranza s’è spaccata. Forza Italia s’è astenuta, e i suballeati Lega-Ncd hanno messo la retro sulle aziende ospedaliere superstiti, tornando a tre (Niguarda, Papa Giovanni di Bergamo e Civile di Brescia).

Perché, ha spiegato Rizzi a una platea di medici, dirigenti, docenti universitari, le Ao continueranno a fare l’ospedale senza «territorio», e l’ospedale non è il cuore della riforma, in quanto già eccellenza al cui livello portare la rete territoriale, chiarisce Capelli. E però «credo che si aggiungeranno altre Ao, in quanto sedi universitarie»: San Paolo/San Carlo e Sacco (attualmente declinate in Asst), Varese e San Gerardo di Monza, anticipa Rizzi all’uditorio direttamente interessato (c’è anche il dg del Sacco Pasquale Cannatelli). La trattativa tra alleati, del resto, è ancora in corso, e un altro nodo, tutto milanese «e non ancora sciolto», è quello dei 23 poliambulatori degli Icp: sparpagliarli tra tre Asst come prevede la versione approvata in commissione, oppure lasciarli uniti in un’unica azienda come chiedono gli azzurri, col rischio di «limitare la libertà di scelta, perché lo specialista è in grado di orientarla»? «È un’ipotesi di lavoro», concede Capelli, rispondendo a un dubbio di Enzo Brusini, il dg del San Paolo. Che domanda, anche, chi si terrà la medicina penitenziaria tra Asst e ospedale: oggi è gestita dal suo, tra il «repartino» con stanza 41 bis e le infermerie di San Vittore, Bollate, Opera, valore del servizio 12 milioni di euro l’anno. Risponde Rizzi, che al testo votato è stato aggiunto «un passaggio che dà la possibilità all’ente programmatore, in certi casi, di obbligare a convenzionarsi» l’azienda ospedaliera e quella socio-sanitaria (le cui funzioni «possono essere esercitate anche dai privati»). E se è chiaro che c’è margine per riscrivere altro, prima dell’aula, intanto Rizzi risponde alla polemica sulle poltrone (l’Asst non ha una terna dirigenziale ma «un poker», con l’aggiunta di un direttore sociale): «Non abbiamo intenzione di correr dietro alla demagogia, il numero dei dirigenti è stabilito in base ai bisogni».

di Giulia Bonezzi

giulia.bonezzi@ilgiorno.net

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