Saluti romani per Sergio Ramelli: l’ultimo verdetto

Ancora in attesa del'appello i militanti di estrema destra condannati per i fatti del 2013

Saluti romani per Sergio Ramelli

Saluti romani per Sergio Ramelli

Milano, 27 aprile 2017 – Il saluto romano per ricordare Sergio Ramelli arriva in Cassazione, mentre un nuovo fascicolo sarà aperto inevitabilmente dopo le braccia tese al Campo X del Cimitero Maggiore qualche giorno fa. Anche di recente, in realtà, la Suprema Corte ha ribadito che quel modo di salutare è reato, usando però parole interpretate dai giudici in modi talora opposti. Clamoroso il caso milanese, dove gli ultimi raduni di fine aprile (il prossimo è in programma sabato sera in viale Argonne) per commemorare Ramelli – lo studente 18enne di simpatie missine ucciso a colpi di chiave inglese in testa da Avanguardia operaia nel lontano ’75 - hanno dato origine a procedimenti penali con esiti molto diversi. Per i saluti romani e gli slogan urlati nel 2014, il gup Donatella Banci Bonamici ha prosciolto sette imputati di ultradestra in udienza preliminare e assolto altri tre con rito abbreviato. Per analoghi saluti romani e chiamate del «presente» relative all’anno prima, la quinta sezione del tribunale (giudice Paola Pendino) ha invece condannato 16 neofascisti a un mese di reclusione.

La vicenda processuale non poteva finire lì, ovvio. E così, contro i proscioglimenti di Banci Bonamici la Procura presentò subito un ricorso in Cassazione, dichiarato però inammissibile per ragioni di forma. E ora torna alla carica – stavolta si entrerà certamente nel merito – sulla scia delle assoluzioni decise da Banci al termine del rito abbreviato e confermate tempo dopo dalla Corte d’Appello. Sull’altro versante, non è ancora stato fissato, invece, il giudizio d’appello voluto dagli imputati condannati dal giudice Pendino in relazione a saluti romani e slogan fascisti urlati nel 2013. E c’è da scommettere che qualunque possa essere l’esito del processo di secondo grado, anche in questo caso un nuovo ricorso per Cassazione sarà l’approdo finale. La questione, d’altra parte, non è oziosa. La Suprema Corte ha ribadito più volte che «le manifestazioni evocative del disciolto partito fascista – come il saluto romano – possiedono ancora idoneità lesiva per la tenuta dell’ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi».

Ma un giudice come Banci Bonamici, per esempio, ha ritenuto che nei saluti del 2014 per Ramelli «non c’era alcun pericolo concreto» di ricostituzione del partito fascista, perché il fine della manifestazione «non era il proselitismo politico», ma solo «commemorare». Tesi fatta propria in secondo grado dalla Corte d’Appello. Il giudice Pendino, invece, nell’infliggere le sue condanne per le analoghe braccia tese del 2013, ha sostenuto all’opposto che «la concretezza del pericolo trova conferma nel fatto che di anno in anno si è registrato un numero sempre maggiore di partecipanti, dato molto enfatizzato dagli organizzatori e simpatizzanti». E che dunque, la «diffusione dell’ideologia politica è certamente agevolata e favorita anche dal simbolismo divulgato nel corso della manifestazione». mario.consani@ilgiorno.net

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