Politecnico, basta doppioni: "Puntiamo sui territori se ci credono e investono"

Ferruccio Resta: una sede ha senso con un indotto

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico

Milano, 19 gennaio 2018 - «Le strategie e la scelta delle sedi non devono farsi condizionare dal lato economico. Per essere attrattiva l’università oggi deve avere uno sguardo internazionale». Ferruccio Resta è il rettore del Politecnico di Milano. Quartiere generale a Milano - nelle due anime della Bovisa e del campus Leonardo - quattro sedi in Lombardia, una a Piacenza e una pure a Shanghai, il Politecnico ha appena detto addio a Como.

Quali sono i presupposti per mantenere sedi decentrate?

«Un’offerta formativa forte, non si devono creare doppioni, e ci deve essere un indotto attorno all’università, col mondo delle imprese e le istituzioni pronto a supportarla, con borse di studio per i ragazzi e strumenti che devono essere a carico anche dell’ecosistema».

Costa mantenerle.

«Non è tanto un problema economico ma di efficientamento di corsi e spazi. Abbiamo sedi in Lombardia, una a Shanghai. I ragionamenti su ciascuna sono diversi, ma dipendono sempre dal rapporto che si instaura col territorio».

Cos’è successo a Como? Perché avete scelto di completare i corsi avviati ma di non aprirne di nuovi?

«A Como è venuta a mancare l’attenzione del territorio. Che probabilmente non aveva la forza di sostenere due università. Ma bisogna avere il coraggio di scegliere, non possiamo duplicare. Sono felice quindi che ci sarà un potenziamento dell’Insubria. Su Lecco il discorso è diverso».

Ovvero?

«Abbiamo un campus nuovo che le realtà territoriali vogliono tenere vivo. C’è partecipazione, coinvolgimento anche nella didattica. Abbiamo dato una chiara identità a quella sede, dedicata alla sicurezza nei cantieri, alla protezione civile e all’ingegneria meccanica. C’è un ospedale che sperimenta con noi. Uno studente sceglie di andare a Lecco perché vuol fare quel tipo di università».

E Mantova?

«È piccola nei numeri ma molto internazionale. C’è la storia dell’architettura: è un museo a cielo aperto e permette agli studenti di specializzarsi sul campo, fra le opere d’arte, è una sede unica per l’architettura. Che è stata potenziata dalla cattedra Unesco».

Meglio decentrare o accentrare, quindi?

«Anni fa, in un Paese in cui non c’è la cultura della formazione universitaria, mancavano i laureati e quindi si era scelto di fare investimenti per avvicinarsi all’offerta. Le scelte politiche delle singole università hanno aiutato ad avvicinarsi al territorio e alle famiglie. Oggi è tutto diverso, quel compito sociale è stato assolto, anche se dobbiamo continuare a far crescere i nostri laureati. C’è una maggiore mobilità. Se mancano i presupposti o cambiano le situazioni, non è un problema spostarsi altrove, ripensare alle strategie».

E potenziare Milano.

«Milano ha una forte attrattiva e continueremo a investire qui. A Città Studi come in Bovisa. Avremo più cantieri nel 2018 e un aumento dell’offerta formativa, svilupperemo nuove esigenze, penso a Ingegneria del suono e dell’acustica nel cuore milanese».

Si guarda oltre confine?

«Stiamo pensando alla possibilità di rilasciare titoli italiani universitari anche nelle sedi fuori nazione e a strategie diverse. In cui però è sempre il Politecnico di Milano a formare, con sede “x” o “y”. E dopo Shanghai e l’Innovator Hub di Xi’an non nego che ci stiamo guardando attorno. In Sud America e Africa potrebbero esserci nuove opportunità».

(3 - Continua)

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