Papa a Milano e Monza, Scola: "Il Pontefice ci insegna ad aprire il cuore agli ultimi"

Intervista all'arcivescovo di Milano: "La fede è abbraccio"

Angelo Scola a Monza per un sopralluogo (Radaelli)

Angelo Scola a Monza per un sopralluogo (Radaelli)

Monza, 24 marzo 2017 -  "La tragedia di Londra, questa ulteriore, terribile tragedia, e la paura che genera devono spingerci a essere con il Papa, consapevoli della necessità della preghiera". Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, richiama all’unità dal cantiere ormai ultimato del palco che domani accoglierà papa Francesco per la messa al Parco di Monza. Unità della Chiesa e dei fedeli. È questo "uno dei problemi più gravi della società contemporanea, che il soggetto personale e comunitario si nasconde. Invece ogni novità culturale, sociale e civile deve cominciare col porsi del soggetto, altrimenti si parla in astratto come facciamo noi europei da qualche decennio e ora se ne vedono le conseguenze".

Alla vigilia della visita di papa Francesco qual è il messaggio da diffondere?

"Innanzitutto l’incompatibilità tra la fede e ogni forma di esclusione. Il successore di Pietro venuto “dalla fine del mondo” è il segno di una nuova alba. Partendo proprio dai più poveri. Il Papa partirà proprio dalle periferie. Se non parti raccogliendo gli ultimi non potrai mai arrivare ad abbracciare tutti. Questo Milano deve imparare a fare".

Lei ha parlato di drammi, della mancanza di lavoro per i giovani, e della solitudine degli uomini...

"Il dramma dell’individualismo sta diventando molto pernicioso perché è più potente in senso negativo di quello dell’epoca moderna. È come se io non mi accorgessi dell’altro fino a quando non lo urto o lui non mi urta. Ma a Milano ci sono degli ottimi antidoti a questo. E penso alla sterminato numero di volontari in tutti gli ambiti, alla ricchezza di associazionismo. Sono carico di speranza per il futuro ma c’è un grande lavoro da fare. C’è un compito per ciascuno. Il Papa incomincia facendo, fa per capire. Ma il fare milanese non è esattamente questo qui. Almeno, non lo è ancora. Ma lo sarà".

Com’è cambiata Milano in questi ultimi 7 anni e che città lascerà al suo successore?

"Quando ero studente negli anni Sessanta alle 7 di sera piazza Duomo si riempiva di capannelli di gente che discuteva delle cose più impensabili, poi venne l’epoca del terrorismo e tutto questo finì. La realtà si svuotò e la piazza iniziò a essere occupata dai visitatopri. Adesso mi sembra che stia iniziando un nuovo gusto, spontaneo, di stare insieme, di parlarsi. Un segno della rinascita milanese che poi si traduce nei dati che colpiscono, le tremila multinazionali che hanno una sede qui, la moda, il design, la finanza. Ma tutto questo lascia fuori il più della vita. Perché il più della vita è la vita dei cittadini, la vita personale, sociale e comunitaria e questa si vede soprattutto in periferia e in provincia. Io credo che la rinascita di Milano non sarà un dato reale fintanto che questi mondi della periferia e della provincia non riusciranno a influenzare i mondi emergenti, i mondi della smart city. Non possiamo illuderci che siano solo l’innovazione, l’industria e lo strapotere della finanza a fare grande Milano".

La Chiesa cosa può e deve fare?

"La Chiesa può fare ciò che fa da sempre, rendere credibile il suo messaggio. Gesù ci ha dato il compito di edificare delle comunità capaci di andare incontro, come lui faceva, al bisogno dell’uomo, soprattutto degli esclusi, per arrivare a tutti". 

 

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