Palme in piazza Duomo: "Trovata pubblicitaria? Il “purché se ne parli” non paga più"

Il parere di Annamaria Testa, pioniera della comunicazione

Annamaria  Testa

Annamaria Testa

Milano, 21 febbraio 2017 - Nelle piazze, in Consiglio comunale, nei bar, sui mezzi pubblici, sui social network. Ovunque si parla delle palme in piazza Duomo. 

Pronto, buongiorno: Annamaria Testa?

«Sì, sono io: buongiorno. Non mi dica che vuole parlare delle palme di piazza Duomo...».

Ha indovinato. Le dispiace?

«Secondo me è una tempesta in un bicchier d’acqua».

È questo il punto: desideravamo capire insieme a lei, esperta di comunicazione e di pubblicità, se tutto questo dibattito giova davvero all’immagine e alla notorietà di una marca, in particolare a Starbucks, che ha portato quelle palme in piazza Duomo.

«C’è una convinzione diffusa: l’importante è che si parli di una marca, di una società o di un’iniziativa. E che non conti se se ne parla bene o male, apprezzando o polemizzando. È una convinzione sbagliata. Una sciocchezza: la cosa che conta davvero è avere una buona reputazione. Sa come nasce questa convinzione sbagliata?».

No, me lo spieghi.

«Troppo spesso si confondono popolarità, notorietà e reputazione. Una buona reputazione è connessa con la stima, l’affidabilità. Chi è molto noto e ha una buona reputazione gode di popolarità, che vuol dire essere conosciuti e amati. Notorietà significa solo essere conosciuti, magari per pessimi motivi, e non implica apprezzamento o gradimento».

Insomma: Starbucks sta maledicendo quelle palme...

«Credo, più semplicemente, che avrebbero preferito che di quell’installazione si parlasse meno e meglio. A causa di tutto questo baccano mediatico stanno sfuggendo alcuni elementi importanti. Il primo è che gli sponsor privati sono fondamentali per la cura del verde in città, perché il Comune da solo non ce la farebbe a manutenere piante e aiuole. Il secondo è che quelle palme sono state autorizzate da chi aveva le competenze per farlo, a partire dalla Soprintendenza. Non ha fatto tutto Starbucks».

Ma a lei queste palme piacciono?

«Giudicherò a lavoro concluso, per ora preferisco non esprimermi. Ma quelli che partono lancia in resta a distribuire banane o a srotolare striscioni contro la presunta africanizzazione di piazza Duomo e di Milano mi fanno, onestamente, sorridere: la palma è una pianta di pace, ed è da un paio di millenni un potente simbolo di pace nella tradizione cristiana, basti pensare al senso della “domenica delle palme” che precede la Pasqua. E poi, per esempio, io sono felicissima che venga messo l’albero di Natale in piazza Duomo, ma quello lì sì, è proprio un simbolo profano ed estraneo alla nostra cultura. Vogliamo censurare gli alberi di Natale? O i peschi, che si chiamano così perché a noi sono arrivati dalla Persia l’attuale Iran, e infatti in milanese i frutti sono i pèrsich? ».

Le fiamme appiccate nella notte tra sabato e domenica avranno l’effetto di avvicinare i milanesi a queste palme?

«Di certo la nostra cultura non è né così recente né così fragile da poter essere insidiata dalla scelta di piantumare un po’ di verde in piazza del Duomo. Può essere che ora alcuni milanesi le sentano più vicine quelle palme, ma io preferirei che si smettesse proprio di parlarne. Che si lasciassero in pace queste povere piante e si riflettesse, magari, sull’arredamento urbano, che ha ampi margini di miglioramento. O su alcuni monumenti che, forse forse…».

Qualche esempio?

«Non ne faccio».

Perché non ne fa?

«Si immagini, non voglio innescare altre polemiche. In milanese si direbbe menà il turùn, menare il torrone. Cioè, parlare fastidiosamente, a vanvera, di questioni irrilevanti.».

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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