Operaia saldatrice morta d’amianto: l’amministratore finisce a processo

Margherita B. lavorò per 16 anni nella fabbrica della Baruffaldi

EREDI VITTIME AMIANTO

EREDI VITTIME AMIANTO

Milano, 24 ottobre 2016 - Ci sono anche donne tra le vittime dell’amianto. Una è l’operaia Margherita B., che lavorò per più di quindici anni, tra i ’60 e gli ’80, alla Baruffaldi spa, storica fabbrica milanese di freni e frizioni per auto. Era stata addetta alle tranciatrici di lamiere, fino al 1972, prima di venir adibita al reparto saldatura "con mansioni proprie di saldatrice". Molto più tardi, quando ormai da tempo era in pensione, nel gennaio del 2012 le fu diagnosticato un "mesotelioma maligno epiteliode della pleura", tipico dell’amianto. In meno di sei mesi, Margherita morì.

Ora l’uomo che dirigeva la Baruffaldi spa quando lei lavorava in fabbrica si ritrova a processo con l’accusa di omicidio colposo per non aver rispettato le norme di prevenzione che avrebbero potuto proteggere l’operaia anche dalle micidiali fibre d’amianto. In quegli anni, tra il ’67 quando la donna iniziò a lavorare in ditta e il giugno dell’83 quando finì, lo stabilimento Baruffaldi si trovava a San Donato Milanese. È in quei capannoni che Margherita avrebbe respirato le polveri assassine destinate a condurla a morte tra mille sofferenze tanti anni più tardi.

L'accusa che il pm Maria Letizia Mocciaro contesta a P.B., oggi 82enne e a lungo amministratore della fabbrica di frizioni, è quella di aver causato per "negligenza, imprudenza e imperizia" la malattia e poi la morte dell’operaia. Non avrebbe "provveduto a far effettuare in luoghi separati le lavorazioni pericolose e insalubri", come già una legge del ’56 disponeva. Né, sempre in base alle stesse norme, avrebbe "adottato provvedimenti atti ad impedire" per quanto possibile "lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro di polveri costituite dalle fibre d’amianto". Il pm contesta infine a B. di non aver nemmeno messo a disposizione dei lavoratori esposti a certi rischi "maschere respiratorie o altri dispositivi idonei da conservarsi in luogo adatto". L'operaia della Baruffaldi non si era certo risparmiata per quanto riguardava le mansioni da svolgere in fabbrica. Prima, come addetta a operazioni di "dentatura dei ferodi", tagliava lamerini e lastre di ferro. Poi si spostò al reparto saldatura dove era addetta a questo compito anche piuttosto faticoso. Tutte lavorazioni "dispensatrici di fibre d’asbesto o che si svolgevano in locali ove era presente tale polvere", sostiene la procura.

Il processo, come tutti quelli che riguardano le morti d’amianto anche nelle grandi fabbriche milanesi - da Pirelli alla Falck, alla Breda - si sta celebrando faticosamente, tra testimonianze e documenti, nella complicata ricostruzione, a decenni di distanza, delle reali condizioni nelle quali alla Buraffaldi spa., all’epoca, si trovavano ad operare gli addetti alle prese con le micidiali fibre. 

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