L'omicidio della piccola Matilda e la giustizia negata

A distanza di 13 anni nessun colpevole per la morte della bimba

La piccola Matilda Borin (Ansa)

La piccola Matilda Borin (Ansa)

Milano, 5 marzo 2018 -  Chi ha provocato la morte di Matilda Borin con quel terribile, devastante colpo alla schiena? Nessuno per la legge italiana. Nessuno secondo le sentenze di assoluzione uscite dai tribunali. Nessuna delle due persone, le sole che sono accanto a una bimba di 22 mesi il 2 luglio 2005, in una casa colonica a Roasio, nelle campagne vercellesi: la madre Elena Romani e il fidanzato Antonio Cangialosi, un passato di bodyguard, dipendente di una ditta di autotrasporti. Dopo quasi tredici anni la vicenda processuale rimane aperta, caso paradossale e unico, storia senza fine e senza giustizia per Matilda. L’innocenza di Elena Romani è stata dichiarata nei tre gradi di giudizio. I suoi legali, Tiberio Massironi e Roberto Scheda, hanno presentato appello contro la sentenza con cui, il 15 dicembre del 2016, il giudice dell’udienza preliminare di Vercelli ha assolto Cangialosi dall’accusa di omicidio preterintenzionale (la stessa che era stata addebitata alla Romani) per non avere commesso il fatto. Anche la procura di Vercelli ha avanzato il suo ricorso.  Le posizioni dei due fidanzati si scindono immediatamente. Dopo che la Romani è stata definitivamente scagionata, la Cassazione accoglie il ricorso dei suoi avvocati e annulla il “non luogo a procedere” per Cangialosi. 

Elena si costituisce parte civile contro l’ex compagno. Processo in abbreviato a Vercelli. Il pm Paolo Tamponi chiede che Cangialosi venga condannato a 8 anni, riferendosi alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Torino che ha ribadito l’assoluzione della donna: le lesioni mortali a Matilda sono state provocate quando è rimasta sola con Antonio, mentre la mamma era uscita per stendere un cuscino, dopo averlo ripulito del vomito della piccola. L’uomo l’avrebbe colpita per farla smettere di piangere. Antitetica la versione della difesa di Cangialosi. Tutti i periti, compresi gli ultimi e tranne quelli dell’assise d’appello, hanno concordato sul fatto che dal trauma subito dalla piccola alla perdita di coscienza dovevano passare da 15 minuti, come minimo, a 40 minuti. Elena Romani, per sua ammissione, è rimasta fuori dall’abitazione non più di tre minuti. La perdita di coscienza di Matilda non poteva avvenire in un arco di tempo tanto breve. Quindi il colpo (un calcio?) è stato inferto prima che la Romani uscisse, mentre il compagno dormiva ancora. Il gup Fabrizio Filice assolve Antonio Cangialosi.

«Per la prima volta – dice l’avvocato Massironi - la procura di Vercelli si è schierata con Elena e ha fatto ricorso contro l’assoluzione di Cangialosi. Il gup ha valutato solo gli elementi a lui favorevoli, una decisione tecnica, dal momento che era stato tenuto fuori da tutti gli accertamenti svolti per la Romani. Noi dicevamo che poteva essere ripetuta tutta una serie di atti istruttori, per esempio risentire i medici intervenuti sul posto, gli operatori del 118 e quelli dell’elisoccorso. Hanno descritto Elena Romani disperata, collaborativa, tanto che lasciano che sia lei a tentare la rianimazione, pratica che come hostess conosceva bene. Il caso è clamoroso, non penso che esista al mondo una situazione analoga. Così come non credo che si trovi nella letteratura scientifica la descrizione di un colpo simile a quello che riceve Matilda, tanto violento che sfracella il fegato e un rene. Tutti gli elementi scagionano Elena Romani. Erano in due in quella casa. Il responsabile può essere soltanto l’altra persona presente». 

Opposto controcanto dell’avvocato Adrea Delmastro, difensore di Cangialosi: «Attendiamo serenamente l’appello a Torino. Abbiamo fatto la scelta del rito abbreviato in modo da cristallizzare il compendio probatorio raccolto dalla procura e dal gip di Vercelli. La superperizia sui tempi delle perdita di coscienza da parte della bambina ha un valore decisamente scagionante di Cangialosi. Esclude anche che sia sia verificata una sincope vasovagale, l’unica ipotesi che avrebbe potuto confermare il racconto della signora Romani. Rende assolutamente impossibile la versione che ha fornito. Quella perizia è insuperabile per chiunque. Un macigno. Qualunque sentenza di segno opposto sarebbe illogica».

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