Dalla tragedia di Linate alla gang dell'acido: "Così curiamo i feriti"

Il reparto Grandi Ustionati dell’ospedale Niguarda

Il centro grandi ustionati dell'ospedale Niguarda

Il centro grandi ustionati dell'ospedale Niguarda

Milano, 17 ottobre 2017 - La prima cosa da imparare è la più difficile: saper mescolare pazienza e rapidità nelle giuste dosi. Sanno bene cosa vuol dire capire che c’è un tempo di attesa importante tanto quanto quello di azione nel Centro Grandi ustioni e Chirurgia plastica dell’ospedale Niguarda, punto di riferimento per tutta la Lombardia. Lungo è il processo di guarigione, a volte servono oltre cento interventi per riplasmare un viso, ricreare parti del corpo cancellate da acido o acqua bollente, eliminare tutte le cicatrici che rappresentano una barriera contro una vita normale. Nelle stanze del reparto - che conta dieci posti letto «sempre occupati», come spiega il dottor Armando De Angelis, direttore del centro - entrano ogni anno circa 200 pazienti di cui un terzo bambini. La maggioranza (il 70 per cento) arriva in questo reparto del Niguarda per ustioni domestiche oppure incidenti o infortuni.

Poi ci sono pazienti “nuovi”, le vittime dei “lanci di acido” che negli ultimi anni hanno riempito le pagine di cronaca. Casi che si contano sulle dita di una mano, «per fortuna». In queste stanze sono stati curati Pietro Barbini e Stefano Savi, sfigurati dalla coppia diabolica Levato-Boettcher, ma anche Andrea P., architetto 43enne sfregiato con la soda caustica l’estate scorsa a Porta Venezia per una questione economica. Era stato ricoverato lo scorso 6 luglio con ustioni di secondo e terzo grado sul 15 per cento del corpo.

«Durante l’aggressione ha avuto la prontezza di girarsi, quindi è stato colpito soprattutto sulla parte laterale della testa e meno in viso. Ora ha ripreso la sua vita di sempre ma dovrà sottoporsi ad altri interventi ricostruttivi», spiega il chirurgo De Angelis. Anche Barbini e Savi «hanno ricominciato le proprie vite. E anche loro dovranno ancora affrontare altri interventi. Si valutano di volta in volta, man mano che il tempo passa». Al Niguarda è stato seguito e curato anche Pasquale Padovano, l’unico sopravvissuto della strage di Linate. Sono state necessarie oltre cento operazioni per riplasmare il suo corpo che era stato avvolto dalle fiamme.

Se la storia di ogni paziente è una storia a sè, con il suo carico di dolore, di paura, di disperazione ma anche di grande speranza, l’emergenza si gestisce allo stesso modo. «Prima di tutto - spiega il dottor De Angeli - bisogna aspettare che si esca dalla fase acuta. All’inizio i pazienti possono essere immersi in una vasca d’acqua che consente, nel caso siano stati colpiti da acido, di diminuire l’effetto della sostanza corrosiva che purtroppo continua a insinuarsi nel sottocute, fino a raggiungere nei casi più gravi i muscoli e le ossa. Più penetra in profondità e più crea danni. In questa fase si interviene con medicazioni avanzate. Solo in un secondo momento si può valutare come intervenire chirurgicamente. Poi inizia il lento processo di ricostruzione». Un cammino lungo verso la rinascita, verso una vita che per forza di cose non può essere la stessa di prima. Perché anche solo affrontare decine e decine di operazioni rende diversi. Perché guardarsi allo specchio e vedere un altro viso - faticosamente riscostruito grazie alla chirurgia - costringe a fare i conti con un cambiamento di grande impatto e un vero travaglio psicologico per riappropriarsi della “nuova” identità. Per questo, ai dieci chirurghi del centro si affiancano i colleghi di psicologia clinica che supportano i pazienti e le loro famiglie. E capita che i medici si trovino anche a dover stemperare tensioni familiari, soprattutto quando a ustionarsi sono i bambini, magari per una disattenzione di chi avrebbe dovuto sorvegliarli.

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