Le mani dei clan su Expo e palazzi: "Siamo calabresi, bruciamo tutto"

Il gruppo di imprenditori lombardi e calabresi in odor di ’ndrangheta aveva messo radici anche in città, operando in appalti per residenze e condomini

Il Padiglione dell'Ecuador (Newpress)

Il Padiglione dell'Ecuador (Newpress)

Milano, 26 ottobre 2016 - Non solo Expo. Stando all’informativa della Guardia di Finanza di Locri consegnate ai pm antimafia di Reggio Calabria, il gruppo di imprenditori lombardi e calabresi in odor di ’ndrangheta aveva messo radici anche in città operando in appalti per residenze e condomini. Sempre attraverso imprese collegate alla Infrasit Spa amministrata sulla carta dall’imprenditore Pino Colelli ma, stando agli investigatori, di fatto gestita dalle cosche Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco di Rosarno.

È in particolare attraverso la società edile Bergamelli Spa, oggi Ceber Spa in liquidazione, che gli uomini vicini a Salvatore Piccoli e Giuseppe Gentile, due degli imprenditori calabresi finiti in carcere già tre settimane fa, operavano per esempio nei cantieri di via Varesina e via Savona, nella costruzione di complessi residenziali. I lavoratori utilizzati in quei cantieri venivano assunti, secondo gli investigatori, attraverso una società di lavoro interinale collegata ad uno degli uomini legati alle cosche. Così poteva accadere, per esempio, che per un semplice ritardo nel pagamento degli operai, il geometra dipendente della ditta Bergamelli ricevesse telefonate in perfetto stile mafioso da Piccoli. "E' uscito l’animo calabrese dei tuoi amici – si lamentava poi quello con Massimiliano C., titolare della società che metteva a disposizione la manodopera – perché sono stati qua e ci hanno minacciati dicendo che non sappiamo con chi abbiamo a che fare; che se pensiamo, se i miei capi pensano di fregarli, non hanno capito niente; che questi qua gli bruciano tutto quello che hanno, gli demoliscono le palazzine che stanno costruendo...".

E poi C., riferendo a sua volta le minacce ricevute dal geometra a Pasquale G., pluripregiudicato e stando agli investigatori uomo di raccordo con le cosche, così le riassume: "Voi non sapete con chi avete a che fare... Vi butto giù i grattacieli, i palazzi... noi siamo calabresi, noi bruciamo, noi bruciamo qua...". Del resto, quando la Infrasit decide di tagliare i fondi facendo fallire la Bergamelli Spa, per impadronirsi degli immobili già avuti in garanzia, Pasquale G. parlando di soldi sembra volersi accreditare appoggi d’Oltreoceano: "...io per delega dei miei zii d’America, gli ho detto di usarli per i pagamenti...". E naturalmente se uno dei prestanome del gruppo come l’imprenditore Colelli, "dopo anni di sottomissione" osava prendere dei lavori in proprio con la Infrasit Spa senza metterne al corrente i veri gestori, ecco che andava subito estromesso: doveva cedere le quote e andarsene. È sempre Piccoli che spiega al suo presunto complice Antonio Stefano, anche lui finito in manette tre settimane fa: "Io non gli do niente... se ne deve andare con le mutande come è venuto". In realtà, fino alla data del successivo fallimento, l’amministratore di Infrasit Spa resterà al suo posto.

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