A Milano il museo dei soldatini di piombo più grande d’Italia

In via Fontana si può ammirare il regno costruito da Roberto Perillo che in quasi quarant'anni ha collezionato oltre trentamila pezzi unici

Roberto Perillo con la sua collezione (Newpress)

Roberto Perillo con la sua collezione (Newpress)

Milano, 20 febbraio 2018 - Ogni tanto Roberto Perillo porta anche il figlio di sei anni a giocare con i soldatini di piombo, ma il bambino si stanca presto, al contrario di Perillo, che starebbe a ordinarli e costruire nuovi diorami tutto il giorno: «Quando vengo qui, è come se tornassi bambino». Cinque anni fa con la sua collezione ha costruito un museo privato, in via Fontana 18, visitabile su appuntamento nel fine settimana. Due piani, più o meno 30mila pezzi («non li ho mai contati precisamente») che rappresentano le vicende storiche più celebri: dall’antico Egitto alla guerra in Iraq, dalla battaglia di Pavia alla ritirata dei nazisti dall’Italia. È il più grosso museo italiano del soldatino di piombo («quello di Bologna, pubblico, ha molti meno pezzi») e tra i più grandi in Europa: «Ne conosco solo due con più pezzi: uno a Valencia e l’altro a Mosca, entrambi pubblici».

Quando ha cominciato a collezionarli?

«A 6 anni giocavo con i soldatini di plastica che mia mamma mi comprava all’Upim. Poi ho cominciato ad acquistare le collezioni della De Agostini in edicola, la prima fu “La cavalleria”».

Ora dove li compra?

«Direttamente alle case produttrici, ne sono rimaste sei o sette al mondo, di cui solo una italiana: l’Antonini di Roma. E alla fiera annuale di Chicago, che riunisce i maggiori collezionisti e produttori di tutto il mondo».

Il pezzo di maggior valore?

«Ce ne sono diversi: le due navi romane con la nave vichinga, fatte in sette esemplari, oggi non si trovano più. Oppure un samurai giapponese che acquistai a Chicago nel Duemila e mi è stato valutato attorno ai 6mila dollari: solo due al mondo. Ma anche la carica di Pastrengo fatta da Antonini: la acquistai cinque anni fa per 5mila euro. È ancora fatto artigianalmente, con piombatura, colino, stampo e decorazione a mano».

Il valore complessivo della collezione lo conosce?

«Sui 5-600mila euro come valore di acquisto. Ma nel frattempo la collezione è anche aumentata di valore perché ho diversi ritirati: cioè soldatini che non si realizzano più. Per esempio questa serie Hitler vale 3-400 dollari, io l’ho pagato circa 60 dollari. Oppure il treno della Figarti: sono l’unico al mondo che lo possiede completo, vale 20-30mila euro. Io all’epoca lo pagai 1.500».

Gli ultimi arrivi?

«Una a serie di senatori e centurioni romani dall’azienda St. Petersburg. Sono pezzi in edizione limitata realizzati artigianalmente: si vede la differenza nel peso, nelle sfumature, nei vestiti».

Ci sono pezzi importanti che mancano alla collezione?

«Non ho molti episodi della Seconda guerra mondiale. E in generale esistono pochissime collezioni dedicate al Risorgimento italiano: ho chiesto personalmente a un designer di King&Country, con sede a Hong Kong, in visita in Italia, se l’azienda poteva realizzarli. Ma per loro è un business, la loro pianificazione è su scala globale. Il Risorgimento lo potrebbe realizzare solo un artigiano italiano, ma avrebbe prezzi fuori mercato».

Il periodo storico preferito?

«Il Far West, anche se è quello che ho valorizzato meno al museo; perché i miei primi soldatini erano cow-boy e indiani».

Il museo continua a ingrandirsi, ma lo spazio è limitato.

«Ognuno di questi gruppi di soldatini per essere valorizzato avrebbe bisogno di molto più spazio, per mostrare le fasi e le strategie della battaglia. Qui non è possibile, mi piacerebbe trovare spazi più grandi, ma ne servirebbero di estesissimi. Comunque non smetto di acquistare, soprattutto le collezioni che i collezionisti storici stanno vendendo. Io appartengo all’ultima generazione di appassionati del soldatino. Sono convinto che fra 30-40 anni non verranno nemmeno più realizzati. Voglio lasciare una collezione unica».

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