"Le moschee? Una giungla italiana. Troppa opacità nei finanziamenti"

L’analisi di Paolo Branca, studioso di Islam e docente della Cattolica

Paolo Branca è docente di Lingua e letteratura araba e ricercatore di Islamistica alla Cattolica

Paolo Branca è docente di Lingua e letteratura araba e ricercatore di Islamistica alla Cattolica

Milano, 29 dicembre 2016 - «La situazione delle moschee? È una giungla tipicamente italiana. Alcune realtà dovrebbero essere riconosciute come luoghi di culto perché sono in regola e non hanno mai avuto problemi con la sicurezza. Per esempio, c’è una bella differenza tra viale Jenner e Cascina Gobba, che non ha mai subito indagini». Paolo Branca, docente di Lingua e letteratura araba, ricercatore in Islamistica all’Università Cattolica e responsabile per il dialogo con i musulmani per la Diocesi di Milano interviene su un tema che i fatti di Berlino e Sesto hanno riportato alla ribalta.

Partiamo da una questione: chi finanzia le moschee?

«Da quanto ho saputo, senza poter prendere visione delle richieste giunte per il bando di Milano, sebbene fossi consulente del Comune, la maggior parte dei progetti non ha dichiarato la fonte dei finanziamenti. Se non offerte dei fedeli o simili. Una voce che doveva essere obbligatoria per rendere l’operazione più trasparente è stata ritenuta facoltativa».

Ma chi ci potrebbe essere dietro?

«L’Ucoii (ndr Unione delle comunità islamiche d’Italia), ha affermato di avere ricevuto in tre anni dal Golfo, soprattutto dal Qatar, il principale sostenitore dei Fratelli musulmani, il gruppo più organizzato in Europa, 25 milioni di euro, per realizzare nuove moschee».

Quali paletti dovrebbe inserire il Comune?

«Ho intuito che la nuova amministrazione non intenda fare un nuovo bando per adesso, ma piuttosto il censimento dell’esistente e valutando cosa andare a sanare».

Quanti i centri islamici?

«A Milano tra i 20 e i 30. Alcune realtà potrebbero essere riconosciute come luoghi di culto, sono vicine ad abitazioni e a fermate della metropolitana, hanno il parcheggio e non hanno mai avuto problemi di sicurezza. C’è differenza tra viale Jenner e Cascina Gobba, che non ha mai subito indagini. Non si capisce perché non sia stata seguita prima questa strada della regolarizzazione. Siamo l’unico Paese occidentale dove le moschee si contano sulle dita di una mano e ci sono mille centri clandestini: una giungla tipicamente italiana».

C’è un rischio banlieu?

«No. Non vedo ghetti a Milano. Ci sono via Padova o il Corvetto dove sono concentrati immigrati di tutti i tipi. Certamente sono zone che vanno monitorate perché potrebbero degradare e diventare di serie B. Ma l’arrivo dei musulmani in Italia è più recente: sono 1,5 milioni, anche in calo per la disoccupazione, e non 5 come in Germania, Francia o Gran Bretagna. Inoltre ci sono diverse etnie, il che garantisce maggiore pluralità: infatti nei centri islamici si predica spesso in italiano, che conoscono tutti, oltre che in arabo. Non condivido l’allarme sull’invasione islamica. Anche perché la seconda religione dopo la cattolica oggi è diventata quella ortodossia, dopo l’apertura dell’Unione Europea all’Est».

Cosa si può fare per evitare l’insorgere di estremismi?

«A scuola si sta facendo molto, c’è un progetto della Regione contro le forme di estremismo violento ideologico e religioso. Ci vuole più attenzione nelle carceri, dove musulmani che entrano da non praticanti rischiano il lavaggio del cervello fino a radicalizzarsi e a volersi purificare dai precedenti errori diventando “eroi’’, per quanto balorda sia questa concezione. Ma vorrei ricordare un’altra cosa».

Cioè?

«Che ci sono tanti esempi positivi da valorizzare. Spesso ci si dimentica che nei mille oratori delle diocesi il 25% dei frequentanti sono musulmani. Vanno a fare i compiti, giocano a pallone senza alcun problema su presepi e crocefissi».

luca.salvi@ilgiorno.net

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