Morti sul lavoro, la vedova: "Stesso dolore di sette anni fa: Eureco non è servita"

La rabbia di Antonella Riunno, che perse il compagno

Antonella Riunno ha perso il compagno nell’esplosione alla Eureco

Antonella Riunno ha perso il compagno nell’esplosione alla Eureco

Milano, 20 gennaio 2018 - ​«È successo ancora. Altri quattro morti sul lavoro. Oggi ne parlano tutti, ma il problema è che, dopo i clamori dei primi giorni, tutti se ne dimenticano». Sette anni fa, era il 18 gennaio del 2011, Antonella Riunno salutò per l’ultima volta «Salvo», il padre di sua figlia. Dopo più di due mesi di agonia Salvatore Catalano, 55 anni, spirò su un letto del Niguarda di Milano. Fu il terzo operaio ucciso dall’esplosione nel piazzale dell’Eureco, azienda di stoccaggio rifiuti di Paderno Dugnano. La «Thyssen milanese»: venne ribattezzata così, poche ore dopo l’incendio. Dopo di lui, il 4 febbraio, anche il collega Leonard Shehu, morì. Aveva 38 anni. Antonella Riunno non solo era la compagna di Salvatore, che avrebbe dovuto sposare 20 giorni dopo l’incidente, ma era la custode dell’azienda. Vivevano lì, insieme.

Ancora quattro vittime sul lavoro a Milano.

«Quando l’ho saputo mi è tornato in mente Salvatore, la sofferenza, il dolore. Che resta. Il fatto di sentire che quello che hai passato tu, sulla tua pelle, possa capitare ad altre persone fa male. Fa rabbia. Quante famiglie distrutte. Erano lì per lavorare».

Cos’è che fa più rabbia?

«Sapere che quello che è capitato a noi non è servito a nulla. Non sappiamo ancora cosa sia successo lì, ma non si parla mai troppo di sicurezza. Servono più controlli. Da noi, in cinque anni che sono stata lì, non ho mai visto controlli “a sorpresa”».

A Milano ieri sono scesi in piazza migliaia di operai per chiedere più sicurezza nei luoghi di lavoro...

«Anche dopo il 4 novembre. C’erano anche i potici, i sindacati. Erano arrivati a Paderno Dugnano anche da Roma. I primi tempi si mobilitano tutti. L’attenzione per l’Eureco è andata sempre calando. In quei mesi di agonia il sindaco era sempre al Niguarda. Il primo anno c’era ancora il Comune, poi è rimasto solo il comitato a sostegno dei familiari delle vittime. Abbiamo cercato di farci forza fra noi. In pochi mesi siamo rimasti soli e senza lavoro. Lo stiamo cercando ancora. Anche adesso mi capita di scrivere dei messaggi a chi era lì, in quelle ore: “Vi siete tutti dimenticati?” Non è giusto».

Cosa direbbe oggi ai familiari di Giancarlo, Arrigo, Marco e Giuseppe?

«Se potessi, li abbraccerei. Avevo conosciuto anche i familiari della ThyssenKrupp di Torino. Ci hanno chiamato per sapere come stavamo. Sappiamo cosa si prova, l’unica cosa che mi dà la forza è mia figlia Irma. È stata dura anche per lei. Cosa direi loro in questo momento? Nulla. Starei loro solo vicino, in silenzio. Non riesco ancora a capire come possa essere successo tutto e come possa ripetersi tutto».

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