Il ristoratore Geraldo Mereu: "Io, figlio di minatore e l'Ambrogino"

Figlio di un minatore lasciò la Sardegna in cerca di lavoro e futuro. Da 30 anni è il patron del ristorante “La Risacca 2". Il 7 dicembre riceverà l’Ambrogino d’Oro

Gerardo Mereu (Newpress)

Gerardo Mereu (Newpress)

Milano, 20 novembre 2017 - «Coraggio, sacrificio, tenacia e ambizione». Geraldo Mereu, da 30 anni patron del ristorante «La Risacca 2», in zona Porta Venezia, riassume così le quattro virtù cardinali che hanno sorretto la sua esistenza. Valori di un vero milanese nell’anima, anche se nato in Sardegna 61 anni fa. Sarà meritatamente tra i premiati all’Ambrogino d’Oro, con un attestato di civica benemerenza, il prossimo 7 dicembre. «La notizia mi riempie di orgoglio. A Milano devo tutto: figlio di un minatore, sono diventato ciò che volevo essere». Lavoro dunque come possibilità di riscatto e fuga da un’isola senza grandi speranze. Ma anche aiuto a superare una perdita irreparabile, la morte del figlio 22enne due anni fa: «Senza questa attività, non sarei riuscito a sopravvivere», sussurra. «Il dolore non si rimarginerà mai».

Andiamo indietro nel tempo. Quando è arrivato a Milano?

«Nel 1974, da solo, avevo 16 anni. Provenivo da un minuscolo paesino, Pauli Arbarei, di neanche mille abitanti. Lì non avevo un lavoro. L’unica alternativa era emigrare».

Come è stato l’impatto con la metropoli?

«La città era più vivibile e meno caotica di adesso. Non ho avuto difficoltà ad adattarmi. Il mio primo lavoro è stato quello di aiuto cuoco in un ristorante di via Marcona. Poi sono seguite esperienze a Porto Cervo, Bologna e Milano Marittima. Non che fossi inquieto: volevo imparare tutti i segreti del mestiere. In certe cucine, però, l’ambiente era crudele».

Poi?

«Nel 1984 ho aperto il mio primo ristorante, “Il semaforo”, in viale Regina Giovanna 22. Nel 1987 è nato “La Risacca 2”, sulla stessa via ma al civico 14. Si chiama così perché ero in società con “La Risacca 6”. In seguito sono diventato l’unico proprietario. In cucina ora c’è una brigata di 7 persone, rimango in sala con 6 camerieri. Ma agli acquisti ci penso ancora io».

Il segreto per stare assieme tante ore?

«Il rispetto. E la domenica di riposo».

La specialità del suo ristorante è il pesce ma a Milano il mare non c’è.

«In compenso c’è il mercato principale di pesce in Italia. I migliori prodotti ittici, come aragoste, astici, orate, branzini, arrivano prima qui che altrove».

Cucina di tradizione o creativa?

«Mediterranea e semplice ma solo in apparenza. Basta cuocere il pesce un minuto di troppo e la carne diventa stopposa. Mi piace sperimentare nuove ricette ma la nouvelle cuisine è bandita».

Qual è l’atmosfera del posto?

«Un cliente deve sentirsi a suo agio, non solo mangiare bene. Si sente a casa sua anche il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov…».

Cosa pensa dei suoi colleghi star della tv?

«Mi piacerebbe vederli alla prova con 200 coperti. Penso che un vero chef debba stare in cucina, non dentro lo schermo, ed è il contrario di un arrogante perché in questo mestiere non si finisce mai di imparare. Il mio motto è ancora: “Lavoro, serietà, piedi per terra e camminare”».

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