Niente risarcimento per la sorella di Lea: "Ho testimoniato per inchiodare i killer"

Bocciata dalla Prefettura: non è del tutto estranea a rapporti delinquenziali

Marisa Garofalo (Ansa)

Marisa Garofalo (Ansa)

Milano, 24 dicembre 2017 - Non importa se per anni ha girato l’Italia parlando della sorella, Lea Garofalo, in occasioni pubbliche, anche davanti a magistrati, prefetti e sindaci. Non importa se ha raccontato in libri, articoli e incontri con decine e decine di studenti il suo percorso da donna di ‘ndrangheta a testimone di giustizia. E ha parlato della sua tragica morte, a Milano, strangolata e poi bruciata. Non importa se ha testimoniato davanti al Tribunale di Milano nel processo a carico dell’ex cognato Carlo Cosco e dei suoi complici. Non importa se la sua voce è stata riconosciuta sincera e attendibile dai giudici, che nelle sentenze di primo grado hanno sottolineato come fosse una delle poche persone di cui Lea si fidasse veramente.

Per la Prefettura di Crotone Marisa Garofalo «non risulta essere del tutto estranea a ambienti e rapporti delinquenziali». Proprio per questo le è stato negato l’accesso al Fondo di solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso, al quale si era rivolta per ottenere i 75mila euro disposti a titolo di provvisionale dalla Corte d’Assise di Milano nel marzo del 2012. Marisa, la madre e la figlia di Lea, Denise, infatti, si erano costituite parte civile nel processo contro l’ex cognato e i suoi complici, che si è concluso in Cassazione nel dicembre 2014. Adesso, però, il comitato di solidarietà della Prefettura crotonese, esaminata la sua domanda, l’ha ritenuta una persona non attendibile. La comunicazione è arrivata il 21 di dicembre e le sono stati concessi appena dieci giorni per capire il perché e tentare di intervenire. «È una decisione assolutamente inaspettata – dice Marisa Garofalo, con la voce incrinata dalla commozione –. Dobbiamo conoscere le vere motivazioni, perché al momento non sappiamo nulla di concreto». Ma anche questo passaggio non è facile. «Abbiamo fatto domanda nell’aprile del 2015 e sono passati due anni e mezzo prima che ci rispondessero – spiega –. Adesso ci hanno dato pochissimo tempo per replicare e proprio durante le vacanze di Natale, quando non ci riceve nessuno». Anche avere accesso agli atti è difficilissimo: sul sito della Prefettura di Crotone, a differenza di molte altre Prefetture italiane, non c’è il modulo per fare richiesta. Mettersi in contatto con l’Urp, poi, pare quasi impossibile. Complicato anche capire se le contestazioni riguardino il periodo precedente la morte di Lea o tempi più recenti. Un tentativo lo sta facendo l’avvocato di Marisa, Roberto D’Ippolito, che nel frattempo ha inviato delle richieste di chiarimento. Ma i prossimi giorni saranno difficili sia per l’attesa che per l’assenza di Lea. «Denise non sta bene, le manca tantissimo la mamma – racconta Marisa che l’ha incontrata di recente –. Mia nipote è da sola, in un altro Paese, lontano dalla famiglia. Ha poche amicizie e deve stare sempre molto attenta. Quella all’interno del programma di protezione testimoni non è certo una vita libera». Anche per Marisa e per i suoi familiari, dopo la morte della sorella, «non è stato più possibile tornare alla normalità». «È molto dura – ripete tra le lacrime – ma cerco di andare avanti perché c’è la famiglia, ci sono i figli e soprattutto c’è Denise. Devo resistere soprattutto per lei».

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