"Voglio dare un museo ai miei ferri", il sarto Ferramini cede la collezione / FOTO

In via Terraggio dal ’75, nei decenni ha raccolto pezzi di ogni epoca

Ferramini mostra fiero due dei suoi ferri da stiro d'epoca

Ferramini mostra fiero due dei suoi ferri da stiro d'epoca

Milano, 26 settembre 2016 - "Vediamo di accasare i miei ferri, anzi, le mie carabattole". Ne parla con tono scherzoso e affettuoso insieme, Antonio Ferramini. Classe ’32, teramano di Colonnella, dal ’48 a Milano "per trovare lavoro e mangiare", a bottega fino agli anni ’60, poi, dal 1975, per gli abitanti di via Terraggio e dintorni, dietro corso Magenta, diventa "il sarto". Ma non solo, perché nella vetrina e sui muri del suo negozietto dall'insegna minimal ma d'effetto ("il sarto a. ferramini", scritto in minuscolo con due caratteri diversi, rosso su bianco) e in uno sgabuzzino sul retro espone le sue "carabattole", i "ferri del mestiere" che nei decenni ha collezionato. Di ogni epoca e provenienza. Ma che oggi, dopo 72 anni di onorata carriera ("cominciai 12enne"), vorrebbe "vendere a uno stilista o regalare a un museo. Per esempio mi viene in mente quello del tessile di Busto Arsizio".

L’elenco è da collezionisti puri: 500 ferri da stiro, un centinaio di forbici, quasi 300 ditali, innumerevoli bottoni, una cinquantina di macchine da cucire e altrettanti metri, compresi quelli inglesi, sul retro la misurazione in pollici. Uno sguardo a queste "carabattole" diventa un viaggio nella storia dell’"homo sartus" (ndr ci sia concesso il latinismo maccheronico), "uno dei mestieri più antichi del mondo – sottolinea Ferramini – perché l’uomo prima ha pensato a cibarsi, poi a coprirsi con la pelle di animale". Dai ferri da stiro che si scaldavano sul fuoco o su una stufa da sarto (ha anche quella) ai ferri del ’700 con lingotto estraibile o dell’800 a carbone, con il camino prima davanti, poi dietro "per non prendersi in faccia l’ossido di carbonio". Uno di questi ha il "camino regolabile: me lo regalò il Conte Caproni", quello degli aerei e di Malpensa, tra i suoi clienti come i Borromeo.

E si arriva agli elettrodomestici a petrolio e infine elettrici. "Il mio “ferro battuto italiano del ’500’’ è riportato nell’apposita voce della Treccani", dice fiero il sarto. Ed è raffigurato anche, insieme ad altri dei pezzi esposti, nel libro "I ferri da stiro", a cura di Laura Palla, Be-Ma Editrice, 1987. C’è persino un ferro in marmo, forse il più antico, e ci sono quelli da viaggio, in scatolina, ideali per un regalo di Natale. Con manici ricercati in paglia di Vienna o con diverse gradazioni di corrente elettrica, ad uso del Paese di destinazione. E i ferretti mignon "da bambini, quando il gioco ti insegnava a stare al mondo, altro che i telefonini". Non mancano i poggiaferro.

Tra le forbici, di ogni foggia e dimensione, anche con impugnatura mancina, splendide le ottocentesche i cui perni raffigurano "Umberto I su un verso e la regina sull'altro o Cristo e la Madonna, per le monache". Nelle teche, portaspilli a forma di maiale o topo. Sui muri anche quadri di figurini. E in un fascicolo, Ferramini ha raccolto vignette e barzellette a tema della "Settimana Enigmistica" o di "Topolino" dove Qui, Quo e Qua si stupiscono quando Zio Paperone esce dal deposito per andare dal "sarto". Lui che non spenderebbe un dollaro per cambiare la sua palandrana rossa. Una collezione iniziata "tanto tempo fa, per scherzo o quasi. Di mercatino in mercatino non mi sono più fermato, quasi una malattia". Dai Navigli a Londra e Parigi. Poi le macchine da cucire prima del predominio Singer.

"Fino agli anni ’50 era un vanto averla in casa: significava che la ragazza ci sapeva fare. Poi è diventata una vergogna", racconta il teramano mentre apre l’antina di un mobiletto Necchi che nasconde i pedali, la cucitrice ribaltabile, le spolette, il lubrificatore e le istruzioni per la "bobina centrale domestica". Ma perché dismettere questo tesoro? "Non cedo l’attività – rassicura il sarto che negli anni ’70 fu il primo al mondo a esportare una sua linea in Giappone, la giacca con sistema zeta – ma non vorrei che tutto andasse perduto quando chiuderò". Appello lanciato, chi lo raccoglie?

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